San Benedetto presente a Manifesta 12 nella sede di Palazzo Butera.
di Cesare Biasini Selvaggi
Chi l’avrebbe mai detto, ma tra le scoperte, o le riscoperte, di questa estate palermitana 2018 dell’arte e della cultura, c’è proprio un santo vissuto cinque secoli fa. Mi riferisco a san Benedetto il Moro (San Fratello, Messina, 1526-1589), il primo santo di colore della Chiesa cattolica. Che digiunava per dare quel poco che aveva ai poveri. Che insisteva con il portinaio del suo convento affinché non respingesse alcun povero che veniva a chiedere l’elemosina.
Ecco perché è il testimonial perfetto di quella Palermo che, tra marce silenziose e momenti di raccolta, in questi giorni ribadisce di essere una città dove si può attraccare e che avrebbe accolto a braccia aperte i 629 migranti dell’Aquarius, tra cui 123 minori non accompagnati, 11 bambini e 7 donne incinte. Ecco perché il ritratto di san Benedetto svetta oggi su un murales realizzato su una parete di sedici metri per cinque a Ballarò, il popolare quartiere nel cuore del capoluogo siciliano, da Igor Scalisi Palminteri e dai bambini del centro sociale San Francesco Saverio. «Ho scelto san Benedetto il Moro perché è nero – ha dichiarato l’artista – questo è il motivo fondamentale, noi abbiamo un santo nero ed è bello vantarsi di questo, è stata una figura importantissima a Palermo, e poi perché è copatrono della città di Palermo insieme a Santa Rosalia».
San Benedetto, però, non si è "fermato” a Ballarò, perché da ieri è entrato ufficialmente a Manifesta 12 nella sede di Palazzo Butera, all’interno della notevole video installazione "Wishing Trees” (2018) di Uriel Orlow (Zurigo, 1973): è il racconto di tre alberi siciliani che custodiscono le storie di momenti e personaggi importanti, instaurando una connessione tra uomini e natura, tra passato e presente. A partire proprio dal cipresso piantato dal nostro san Benedetto nella periferia di Palermo. Immagine resa ancora più impotente perché intrecciata alle storie contemporanee dei cuochi migranti africani che vivono oggi in città. Perché san Benedetto il Moro, non l’avevo detto in premessa, in vita era stato cuoco e figlio di schiavi africani deportati in Sicilia. Una storia e un’epopea di speranze e desideri che scorre nelle radici plurisecolari di un albero in cui oggi si rischia di inciampare rovinosamente.
di Cesare Biasini Selvaggi
Chi l’avrebbe mai detto, ma tra le scoperte, o le riscoperte, di questa estate palermitana 2018 dell’arte e della cultura, c’è proprio un santo vissuto cinque secoli fa. Mi riferisco a san Benedetto il Moro (San Fratello, Messina, 1526-1589), il primo santo di colore della Chiesa cattolica. Che digiunava per dare quel poco che aveva ai poveri. Che insisteva con il portinaio del suo convento affinché non respingesse alcun povero che veniva a chiedere l’elemosina.
Ecco perché è il testimonial perfetto di quella Palermo che, tra marce silenziose e momenti di raccolta, in questi giorni ribadisce di essere una città dove si può attraccare e che avrebbe accolto a braccia aperte i 629 migranti dell’Aquarius, tra cui 123 minori non accompagnati, 11 bambini e 7 donne incinte. Ecco perché il ritratto di san Benedetto svetta oggi su un murales realizzato su una parete di sedici metri per cinque a Ballarò, il popolare quartiere nel cuore del capoluogo siciliano, da Igor Scalisi Palminteri e dai bambini del centro sociale San Francesco Saverio. «Ho scelto san Benedetto il Moro perché è nero – ha dichiarato l’artista – questo è il motivo fondamentale, noi abbiamo un santo nero ed è bello vantarsi di questo, è stata una figura importantissima a Palermo, e poi perché è copatrono della città di Palermo insieme a Santa Rosalia».
San Benedetto, però, non si è "fermato” a Ballarò, perché da ieri è entrato ufficialmente a Manifesta 12 nella sede di Palazzo Butera, all’interno della notevole video installazione "Wishing Trees” (2018) di Uriel Orlow (Zurigo, 1973): è il racconto di tre alberi siciliani che custodiscono le storie di momenti e personaggi importanti, instaurando una connessione tra uomini e natura, tra passato e presente. A partire proprio dal cipresso piantato dal nostro san Benedetto nella periferia di Palermo. Immagine resa ancora più impotente perché intrecciata alle storie contemporanee dei cuochi migranti africani che vivono oggi in città. Perché san Benedetto il Moro, non l’avevo detto in premessa, in vita era stato cuoco e figlio di schiavi africani deportati in Sicilia. Una storia e un’epopea di speranze e desideri che scorre nelle radici plurisecolari di un albero in cui oggi si rischia di inciampare rovinosamente.
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