E in tempi in cui sugli uomini dalla pelle
nera si torna a consumare violenze ideologiche, verbali o purtroppo anche
fisiche, è inevitabile pensare che una scultura come questa abbia qualcosa da
dire.
È una scultura in legno alta poco più di
un metro e 20. L’ha realizzata, con molte probabilità, un artista sivigliano
vissuto tra 1600 e 1700, José Montes de Oca e
oggi è conservata in un museo americano, Il Minneapolis Institute of Arts.. Inutile sottolineare quanto sia
folgorante e quasi spiazzante al primo sguardo: una figura di santo
evidentemente africano immersa nell’oro della veste.
È San Benedetto il
Moro. Mi piace credere che l’arte abbia senso perché
lavora e agisce anche nel presente. E in tempi in cui sugli uomini dalla pelle
nera si torna a consumare violenze ideologiche, verbali o purtroppo anche
fisiche, è inevitabile pensare che una scultura come questa abbia qualcosa da
dire.
Il soggetto di questa scultura, per usare
termini della cronaca, è figlio di migranti, venuti (o meglio deportati)
dall’Etiopia a inizio ‘500. Il padre e la madre, Cristoforo e Diana, erano
schiavi a San Fratello in provincia di Messina. Benedetto era il primogenito e
come promesso ai suoi genitori venne “liberato” dal padrone, da cui per altro
prese il cognome, Manasseri.
Nella vita scelse la vita eremitica. Poi
su sollecitazione delle gerarchie, decise di entrare nell’ordine dei
Francescani Minori, diventando superiore del convento di santa Maria Gesù a
Palermo. Morto nel 1589, è stato canonizzato nel 1807 da Pio VII. Oggi è anche
co-patrono di Palermo.
Ma non è della sua vita che qui vogliamo
parlare bensì della sua “neritudine” (San Benedetto il nero è il nome con cui è
popolare). Perché è proprio questo il fattore sul quale lo scultore spagnolo ha
voluto far leva, con la scelta ardita di creare quell’urto tra il folgorante
oro della veste, e il nero profondo e insieme smagliante della pelle.
C’è anche un altro contrasto: ed è quello
tra la lavorazione stilizzata e semplificata della veste e invece l’insistenza
dei dettagli nel volto. È su quello che l’artista punta, per dare a Benedetto
la verosimiglianza di una figura presente.
Per gli occhi ha usato dei vetri, per i
denti dei bianchi frammenti di ossa. Lo sguardo infatti è di un’intensità che
quasi ferisce; mentre con la bocca sembra stia per pronunciare poche, dure
parole.
Il volto è bellissimo, di una bellezza
quasi hollywoodiana. È un volto molto vivo, con qualcosa perfino di regale,
tutto proteso verso il futuro. Benedetto non cede per nulla al pietismo, semmai
afferma con energia una dignità che nessuna umiliazione della storia è riuscita
cancellare.
Verrebbe voglia di riempir l’Italia di
manifesti con il volto di questo santo che non recrimina ma che neppure fa
sconti… Uno a cui l’amore di Cristo e l’amore a Cristo han fatto tener ben alta
la testa.
Fonte: PiccoleNote
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