San Benedetto
Manasseri, detto anche Benedetto da San Fratello e Benedetto il
Moro (San Fratello, 1524 circa – Palermo, 4 aprile 1589), è stato
un religioso italiano divenuto il primo Santo Nero della
Chiesa Cattolica.
Immagine di San Benedetto. Si trova incastonata nel tabernacolo della Chiesa Madre di San Fratello |
San Benedetto (all'anagrafe
Benedetto Manassari) nacque nel 1524 (come sopra riportato) a San Fratello,
cittadina in provincia di Messina, da Diana Larcari e Cristoforo Manassari
entrambi cristiani discendenti da schiavi neri portati dall'Africa. Fin
dall'età di dieci anni manifestò una tale spiccata tendenza per la solitudine e
la penitenza, che i suoi conoscenti presero a designarlo con l'epiteto:
"il santo moro".
Invece di
frequentare la scuola Benedetto dovette condurre al pascolo il gregge che suo
padre aveva in custodia. Benché sprovvisto di scienza umana, sotto la guida
dello Spirito Santo egli fece rapidi progressi nella scienza divina. Il lavoro
non gli impedì di darsi incessantemente alla preghiera e alla meditazione.
Sovente i compagni lo deridevano, lo ingiuriavano, gli facevano ogni sorta di
dispetti, ma egli sopportava tutto con pazienza e cercava di non prendere parte
ai loro giochi per non turbare la solitudine, tanto era grande il bisogno che
sentiva d'intrattenersi in pensieri di cielo. A diciotto anni Benedetto era già
in grado di provvedere da sé alle sue necessità e a quelle dei poveri. Facendo
economie era riuscito a comperare un paio di buoi. Preoccupandosi di compiere
la volontà di Dio nella condizione in cui lo aveva fatto nascere, egli era
contento della sua sorte e non pensava a cambiare stato. Con la pietà
santificava le più umili occupazioni. Effettivamente mentre con le mani
lavorava per procurarsi il cibo corporale, con lo spirito s'infervorava alla
considerazione delle verità eterne. In tale maniera egli fu un costante esempio
di laboriosità e di religiosità ai paesani. Tuttavia il Signore lo chiamava a
un genere di vita molto più perfetto. Nei dintorni di San Fratello viveva un
giovane signore, chiamato Girolamo Lanza. Dopo aver venduto i suoi beni, con il
consenso della moglie, costui si era ritirato nell'eremitaggio di Santa
Domenica per condurvi una vita penitente, simile a quella degli antichi monaci
della Tebaide e santificarsi seguendo alla lettera la regola di S. Francesco
d'Assisi. Un giorno, mentre camminava per la campagna, vide dei mietitori che
si burlavano di Benedetto. Lo guardò fissamente in volto, e sotto i lineamenti
di un negro, egli scoprì un'anima quanto mai candida. Volgendosi allora a
quegli insolenti, disse: "Voi vi fate beffe di questo povero negro, ma
sappiate che ben presto udirete parlare della sua fama". Rivolgendosi poi
al capo dei lavoratori aggiunse: "Vi raccomando Benedetto perché tra non
molto tempo mi verrà a raggiungere per farsi religioso". Alcuni giorni
dopo Fra Girolamo andò a trovare il "Santo Moro" nella capanna che
abitava. "Che cosa fai qui, Benedetto? - gli chiese -. Vendi i tuoi buoi e
vieni nel mio eremitaggio". Molto più generoso del giovane ricco del
Vangelo (Lc. c. XVIII) il servo di Dio accolse subito con generosità
quell'invito. Benché i buoi, frutto dei suoi sudori, rappresentassero per lui
un grande valore, credendo di udire la voce di Gesù Cristo che gli parlava per
bocca dell'eremita, andò subito a venderli, ne donò il prezzo ai poveri e, con
il consenso dei genitori, raggiunse Fra Girolamo nell'eremitaggio. Benedetto
aveva ventuno anni (1547). La vita del "Santo Moro" divenne nella
solitudine un continuo esercizio di penitenza. Spietato con il proprio corpo,
egli indossò un abito fatto con foglie di palma, si nutrì di legumi, si dissetò
con acqua. La buona fama di quei penitenti non tardò a divulgarsi nei dintorni
e la gente cominciò ad affluire al loro eremo per chiedere consiglio e
preghiere. Benedetto e i suoi compagni, temendo di dissiparsi a quell'afflusso
di devoti, si ritirarono prima nella vallata di Nazara e, dopo otto anni, nella
solitudine di Mancusa. In seguito ad un miracolo che quivi Benedetto compì, i
malati cominciarono ad accorrere a lui da ogni parte. Gli eremiti decisero
allora di trasferirsi presso Palermo, sul Monte Pellegrino, già santificato
dalla presenza di S. Rosalia. Colà si costruirono delle povere celle, e con
l'aiuto del viceré di Sicilia, fecero edificare una cappella e un serbatoio di
acqua. Alla morte di Fra Girolamo gli eremiti scelsero Fra Benedetto come loro
superiore. Egli fece ad essi da guida fino al 1562, allorché da Pio IV furono
riuniti all'Ordine Francescano con la revoca dell'autorizzazione loro concessa
da Giulio III nel 1550.
Statua di San Benedetto (S. Fratello) |
Il santo veramente aveva pensato di entrare tra i
Cappuccini ma, dopo aver pregato Maria SS. in un santuario di Palermo, si
rivolse ai Frati Minori dell'antica Osservanza i quali lo ricevettero nel loro
convento di Santa Maria di Gesù come semplice fratello laico. Per tre anni i
superiori lo mandarono a Sant'Anna di Giuliana, addetto ai più umili servizi,
poi lo richiamarono a svolgere le funzioni di cuoco a Palermo, a Santa Maria di
Gesù, dove visse fino alla morte. Severo con se stesso, Fra Benedetto fu
benevolo verso i confratelli, condiscendente alle loro necessità. Nella misura
del possibile si adoperava per preparare quanto sapeva essere di loro gradimento.
Durante un capitolo provinciale, essendo stata sospesa la questua a causa di
una eccezionale nevicata, le provviste nel convento vennero a mancare. Il cuoco
non perse la sua abituale serenità. Prima del riposo notturno, un giorno, con
il suo aiutante, riempì di acqua i vasi più grandi che si trovavano in cucina,
poi, con una sconfinata fiducia nella Provvidenza divina, si pose in preghiera
per tutta la notte. La mattina dopo si recò con il suo aiutante in cucina e
trovò nei vasi tanta quantità di pesci ancora palpitanti che bastarono al
fabbisogno di tutta la comunità. Un giorno di Natale egli si era
lasciato assorbire talmente dall'orazione, che si dimenticò di preparare il
pranzo al quale doveva prendere parte anche l'arcivescovo di Palermo, venuto a
officiare nella chiesa del convento. Fra Benedetto come al solito non perdette
la fiducia in Dio. Disse ai confratelli che potevano ugualmente prendere posto
in refettorio e, in un batter d'occhio, servì loro le pietanze preparate alla
perfezione da due giovani vestiti di bianco, apparsi nella cucina. Miracoli di
tal genere si rinnovarono diverse volte per intercessione del "Santo
Moro". Non meraviglia quindi che il capitolo generale del 1578, avendo
eretto in Casa di riforma il convento di Santa Maria, abbia sentito il bisogno
di nominare Guardiano l'umile Benedetto, benché non sapesse né leggere, né
scrivere. Costui supplicò, scongiurò di essere esonerato da quella carica
dicendo che non era conveniente che alla testa di religiosi sacerdoti fosse posto
un fratello laico. Per vincere la sua resistenza gli fu dato il precetto in
virtù di ubbidienza. Il modo di governare di Fra Benedetto giustificò in pieno
la scelta dei superiori. Rispettoso verso i padri, caritatevole verso i
fratelli, condiscendente verso i novizi, il nuovo Guardiano fu da tutti
rispettato, amato e ubbidito senza che nessuno fosse tentato di abusare del suo
spirito di umiltà. Un giorno gli capitò di punire un novizio per una colpa
grave della quale in seguito fu riconosciuto innocente. Il santo, appena
conobbe lo sbaglio, si inginocchiò davanti al novizio e, con ammirazione ed
edificazione di tutta la comunità, gli chiese perdono. Da tre anni Fra
Benedetto era Guardiano di Santa Maria, quando dovette recarsi al capitolo che
si teneva ad Agrigento. La folla fu tanto numerosa sul suo passaggio che
parecchie volte egli dovette fuggire per evitarla, oppure camminare durante la
notte. Ad Agrigento fu ricevuto in trionfo. L'entusiasmo popolare era provocato
dai miracoli che il Santo operava a favore dei malati e dei poveri. Sembrava
infatti che il cielo gli avesse dato ogni potere sulla vita e sulla morte. La
fiducia che Fra Benedetto riponeva in Dio per tutte le più svariate necessità
non aveva limiti. Al fratello portinaio aveva raccomandato di non rifiutare
l'elemosina ai mendicanti che si presentavano. Un giorno costui, avendo
costatato, dopo una distribuzione di pane, che gliene restava appena a
sufficienza per la refezione dei religiosi, aveva rimandato a mani vuote un
certo numero di poveri. Benedetto, incontratili, li ricondusse al convento e
disse al portinaio: "Poco importa che i pani siano appena sufficienti per
i confratelli. Fate l'elemosina a questi bisognosi e la Provvidenza di Dio non
verrà meno". Il portinaio ubbidì e al momento della refezione si costatò
che nella madia c'erano più pani di quanti non ce ne fossero prima della
distribuzione. Fra Benedetto diede ai suoi religiosi l'esempio di tutte le
virtù. Egli era il primo al coro, agli esercizi della comunità, nella visita
dei malati, nei lavori più umili e più pesanti. Allo scadere della carica, i
confratelli, per non separarsi da lui lo nominarono successivamente vicario e
maestro dei novizi. Nel dirigerli egli diede prova di una inalterabile dolcezza
e di una consumata prudenza. I novizi trovarono in lui una guida sicura, un
consigliere illuminato, un padre pieno di tenerezza. Dopo Mattutino era solito
spiegare loro le lezioni della Sacra Scrittura recitata nel coro, e svilupparne
il senso con una sorprendente facilità. Egli possedeva in modo manifesto il
dono della scienza infusa.
Urna contenente il Femore di San Benedetto |
Gli capitò infatti di dare
risposte molto acute a maestri di teologia venuti per consultarlo. A tale dono
si univa quello della scrutazione dei cuori. Più di una volta gli capitò di
svelare ai novizi le tentazioni che non osavano manifestargli e di aiutarli a
superarle. Da maestro del noviziato Fra Benedetto ridivenne cuoco. Egli fu
felice di ritrovare la vita di nascondimento che aveva sempre desiderato. Anche
in cucina però fu assediato continuamente da ricchi e da poveri. Per ubbidienza
riceveva tutti e a tutti rispondeva con inalterabile pazienza. Nel suo grande
spirito di mortificazione fu sempre fedele alle sette quaresime annuali,
sull'esempio di S. Francesco. Il tempo che gli rimaneva libero, e buona parte
della notte, lo impiegava a pregare per la conversione dei peccatori e le
necessità della Chiesa. Nel mese di febbraio del 1589 il santo cadde gravemente
malato, e Dio gli rivelò che si avvicinava il termine della sua vita. Quando
ricevette gli ultimi sacramenti, S. Orsola, verso la quale nutriva una grande
devozione, gli apparve inondando la cella di una luce meravigliosa. Morì il
4-4-1589. Pio VII lo canonizzò il 24-5-1807. Le sue reliquie sono venerate a Palermo nella chiesa di
Santa Maria di Gesù. Benedetto XIV ne aveva riconosciuto il culto il 15-5-1743.
Nessun commento:
Posta un commento