Negri, mori,
saraceni e simile mercanzia. Il Significato dell'aggettivo "Moro" e la provenienza di Benedetto.
Dal libro "Nera Fonte di Luce" di Umberto Castagna
Un
cavallo berbero vale da dieci a quindici teste, scriveva Alvise Cà da Mosto, il
veneto navigatore vissuto nel 1400. Un lavoro di seta moresco, di quelli che si
fanno in Granada e a Tunisi di Barberia, o un lavoro d’argento, valgono in
abbondanza di queste teste, e in più una certa somma d’oro, le quali teste
capitano a Hoden. Di li si dividono, e una parte va ai monti di Barca, e di lì
capitano in Sicilia…Come di un gregge diciamo è composto di tot “capi”. Càpitano.
Indifferente parola che nasconde l’infame costrizione e l’orrendo itinerario
fino al luogo della dannazione terrena.
Anche fino in Sicilia. Ma Cà da Mosto non era un negriero. Apparteneva a quella
generazione di giovani avventurieri rinascimentali che, un po’ per denaro e
molto per spirito d’avventura, cominciarono rischiando grosso di persona, a
girare il mondo non conosciuto e a raccontarlo. Cà da Mosto esplorò nel 1455 la
costa occidentale dell’Africa fin oltre la foce del fiume Senegal, poi in
compagnia del genovese Antoniotto Uomo di mare tentò, vanamente di salire il
fiume Gambia. Era poco più che un ventenne, curioso, coraggioso, spregiudicato.
Scopri e percorse terre e fiumi dell’Africa nera e descrisse una delle realtà
più amare della storia del grande continente: i primi a vendere come schiavi i
negri furono, da tempi che si perdono nella notte dei tempi, gli stessi
negri.[…] Africani che vendono africani. Ma i mercanti europei hanno occhi
acuti e desideri accesi, e presto si sostituiscono fin dove possono ai negrieri
negri.
Primi fra tutti e i “migliori” di tutti i portoghesi. Anche gli italiani
Cà da Mosto e Antoniotto Uomo di mare erano, come gli altri, al servizio del
principe portoghese Enrico il Navigatore, e per suo conto esploravano terre
nuove e gettavano le basi dell’espansione coloniale del Portogallo. Nel breve
volgere di pochi anni, i portoghesi, padroni sempre più dell’Africa, presero in
mano il commercio degli schiavi e i suoi enormi profitti, ed esso “si diffuse
in Europa con l’incontenibile rapidità della pestilenza”. La Sicilia, che era
stata dapprima terra di transito e di smistamento, nel giro di cinquant’anni
divenne luogo di destinazione, come Napoli e tutto il Meridione. A poco è
servita la denuncia di Pio II, che nel 1462 bollava la nuova schiavitù come
“magnum scelus”, il grande delitto, e intimava ai vescovi di colpire con le
censure ecclesiastiche quelli che la praticavano: anche gli ecclesiastici e le
comunità religiose possedettero schiavi e li commerciarono! Splendori del
rinascimento italiano.
E’
raro il caso che in un registro notarile di quei tempi non contenga un atto di
vendita di schiavi o un inventario in cui non siano elencati, tra i beni mobili
e gli animali, anche esseri umani. Su quale mercato furono comprati gli
antenati di San Benedetto da San Fratello, detto il Moro, come abbiamo visto
non lo sappiamo. Ma “il moro” dovrebbe pur significare qualcosa, forse
l’appartenenza a uno dei numerosi gruppi provenienti dai monti Barca in
Cirenaica. E invece no, i mauri hanno caratteristiche somatiche diverse da
quelle, nettissime, degli innumerevoli ritratti e sculture che rappresentano
Benedetto, e perfino dalla maschera di cera che copre oggi il viso del suo
corpo mummificato. Moro nel variopinto linguaggio del tempo non significava
neppure necessariamente scuro di pelle! Come “Etiope”- che è l’origine
attribuitagli nella Bolla di canonizzazione- non assicurava affatto la
provenienza dal Corno d’Africa. […]. I genitori di Benedetto erano certamente
negri e certamente cristiani. In un’epoca nel quale i mercanti europei
rigurgitavano di negri e mauri, saraceni e tartari, greci e albanesi, bulgari e
rumeni e caucasici, è già tanto che essi venissero riconosciuti e distinti per
il colore della loro pelle: neri, olivastri bianchi. Benedetto era nero. Non
solo tutti i documenti e le testimonianze del tempo e il processo di
canonizzazione, ma la sua vicenda umana è illuminata (consentitemi questo gioco
di parole) da questo suo essere stato un negro nato in Sicilia da schiavi negri
e reso libero da un padrone di schiavi negri […]. Benedetto affonda le sue
radici nel cuore dell’Africa e ne rappresenta le razze redente o in ansiosa e
tumultuosa ricerca di Libertà, Benedetto è l’Africano. Gli africani possono
legittimamente gloriarsi di colui che fu uno dei più grandi tra i loro antenati,
e domandargli di assisterli.
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