Figlio di Schiavi, Cristoforo e Diana, per concessione di Vincenzo Manasseri, Benedetto nasce libero.
Dal libro "Nera Fonte di Luce" di Umberto Castagna
Tutta un’accurata legislazione, emanata dalle autorità delle varie città
italiane coinvolte in questo lucroso commercio, da Venezia a Trapani, da Genova
a Siracusa, proteggeva la preziosa merce umana. O meglio, gli interessi dei
commercianti. Nella enumerazione notarile dei beni lo schiavo era il primo, non
certo per rispetto alla dignità umana, quanto esso rappresentava il più costoso
capo dell’inventario.
Pur nell’estrema varietà dei prezzi, uno schiavo costava
in media tre o quattro volte più di un cavallo o di un mulo. Si pensi al
“ricarico”, cioè al profitto sul costo originario, ricordando che Cà da Mosto
di un prezzo all’origine appunto di un cavallo contro “dieci o quindici teste”
senza contare quelli che erano direttamente prelevati dai negrieri che
rastrellavano e commerciavano in proprio. Un bel guadagno non c’è che dire. È
un bel costo per l’acquirente. Uno schiavo buono, docile, sano, onesto e fedele
al padrone, diventava un patrimonio da difendere, e gli schiavi- a conti fatti-
conveniva farseli in casa, da una copia ben assortita.
Per questo Vincenzo
Manasseri, intorno al 1520, aveva consentito che Cristoforo e Diana Larcàn si
sposassero, e per questo non si rassegnava all’idea che non gli figliassero
schiavetti come puntualmente nelle sue stalle figliavano i vitellini le sue
mucche e agnelli le sue pecore. Cristoforo, era, infatti di sua proprietà a
pieno diritto portava- come spesso si usava- il suo stesso cognome: Cristoforo
Manasseri, mentre non era chiara la posizione legale della donna. Pare che
Diana Larcan fosse una negra liberata dal suo proprietario, il cavaliere Lanza,
e che servisse stabilmente in casa Manasseri. Ma l’aver sposato uno schiavo la
metteva nella spietata condizione di poter generare solo schiavi. Questa era la
legge, e non sarebbe cambiata anche se lo schiavo era un personaggio singolare
come Cristoforo.
Cristoforo era l’uomo di fiducia del suo padrone. A lui era, in pratica,
affidata la direzione dell’azienda Manasseri, a lui rendevano conto del loro
operato schiavi e servi, nelle sue mani stavano le chiavi dei magazzini dove si
accumulavano i beni del ricco possidente: i depositi di grano,le cantine piene
di anfore d’olio e di tini traboccanti di vino, le stalle delle bestie. Il caso
non era ne frequente né rarissimo, perché schiavi che si conquistavano la
fiducia dei padroni non mancavano mai, e padroni che si comportarono con
singolare familiarità con i propri schiavi furono frequenti in Sicilia. […].
Cristoforo era un cristiano integrale, aveva
raccolto il messaggio evangelico per quello che è, la buona novella, ne aveva
fatto la sua regola di vita.[…] Se al Manasseri, gli fosse venuto in mente di venderlo, Cristoforo non
avrebbe avuto prezzo: casa sua prosperava sotto di lui. Diana poi era libera.
Ad occhi superficiali sarebbe apparsa una condizione di eccezionale sicurezza,
per due negro-siciliani. Già me se fosse nato un figlio, o più figli e figlie. Solo
piccoli schiavi nati in casa, proprietà disponibile e alienabile, di pieno
dominio del signore e padrone, al quale competeva il diritto assoluto di
possedere, vendere, alienare, scambiare, godere, affittare, disporre del suo
testamento, giudicarne il corpo e l’anima de usarli secondo il gradimento suo e
degli eredi. […] I biografi scrivono che i due decisero di vivere in castità...“Non
metteremo altra merce umana in mano del padrone” questo decisero. E sotto lo
sguardo di Dio e nel rispetto della loro fede così fecero.
Nessun commento:
Posta un commento