A chi inizia a leggerla l’opera di Carlo Cotti,
intitolata Benedict, appare subito
un’opera polivalente, perché, come si precisa nello stesso sottotitolo, essa è
una sceneggiatura originale, ma è una sceneggiatura che si legge piacevolmente
come un bel racconto. La godibilità della lettura non viene, come si potrebbe temere,
minimamente intaccata dalle precise notazioni tecniche di regia che concentrano
e ripartiscono il contenuto del testo in 188 scene. Anzi a me sembra che tali
precise e puntuali indicazioni, scandendo lo svolgimento degli avvenimenti,
aiutino il lettore a orientarsi meglio nel testo, che, pertanto è di piacevole
lettura come un buon testo letterario fine a se stesso. Né, per converso,
l’apparenza e la fruibilità del testo come racconto ben costruito possono
costituire una controindicazione alla sua traducibilità in film, né possono
pregiudicarla.
Uno dei pregi del libro è la ricchezza dei temi
trattati: si parla in esso di generazioni a confronto, dei valori della vita,
delle tradizioni, della memoria e dei ricordi, del razzismo, della mafia e di
tante altre cose che non voglio anticipare al lettore per non togliergli il
piacere della scoperta e dell’esplorazione personale del testo. Nessuno di tali
temi prevale sugli altri, ma tutti, intrecciandosi fra loro, concorrono allo
svolgimento armonico della diegesi. Essendo i temi trattati così strettamente
interrelati fra loro, non è facile poter stabilire quale di essi sia quello
preminente, quale quello più importante.
Il libro è scritto in italiano, ma in esso si fa
spesso riferimento a un altro codice linguistico che assume un ruolo
importante, esso è il galloitalico. Con tale termine si definisce il dialetto
di San Fratello, che è il luogo principale in cui si svolge la storia
raccontata, un dialetto che è assai diverso da tutti i dialetti siciliani,
perché è un dialetto di origine settentrionale.
Nella storia si fa uso del galloitalico attraverso un
impiego intelligente di originari antroponimi sanfratellani. Per sottolineare
l’importanza di tale uso, si ricorda che per la sua specifica funzione, che è quella di
indicare una persona ben precisa, identificandola e distinguendola dalle altre
della stessa comunità, il nome proprio ha un legame strettissimo con l’identità
della persona cui si riferisce.
Nell’opera di Cotti la
maggior parte dei personaggi ha un nome caratteristico sanfratellano, alcuni di
questi antroponimi sono riportati in lingua italiana altri nell’originaria
forma galloitalica. Fanno parte del primo gruppo di nomi: Cirino Filadelfio,
Marianna, Alfio, Serafina, Rosalia, Biagio, che sono nomi tipici ricorrenti
nell’antroponimia sanfratellana, anche se sono forme italianizzate delle
originali forme galloitaliche. Appartengono al secondo gruppo: Frareu Filadelfio, Mairasa Maria Rosa, Bittu
Benedetto, Arfien Alfio, Carmien Carmelo, Culina Nicola, Ngiulita
Angela, Ntunien Antonio, B.lesg Biagio, Zarafina Serafina, Mtrisina
Maria Teresa, che sono nomi doppiamente sanfratellani, perché, come quelli del
primo gruppo, sono tipi onomastici ricorrenti nell’antroponomastica di San
Fratello e, in più, non subiscono nessuna forma d’italianizzazione, ma
conservano intatta la loro originaria forma dialettale galloitalica.
Bittu e Culina
sono ipocoristici: Bittu è la forma
abbreviata di uso familiare che deriva dal nome galloitalico pieno B.n.rittu; Culina è diminutivo di Cala,
che, a sua volta, è diminutivo dalla forma piena galloitalica N.cala.
L’importanza dell’onomastica presente nel libro non si
limita a esprimere e sottolineare la sanfratellanità dell’ambientazione
principale del racconto, ma va oltre, incide più in profondità nel tessuto
narrativo e ci consente di poter dire che lo svolgimento di tutta la storia
raccontata nel libro si compendia ed è rappresentata tutta nella storia di un
solo nome, nel passaggio cioè di Benedict a Bittu.
Infatti, uno dei protagonisti del libro, che è quello che gli dà il titolo, si
chiama con il nome inglese Ben, che
corrisponde all’italiano Benedetto, che a sua volta nel dialetto sanfratellano
si dice Bittu. La parte del racconto
ambientata negli Stati Uniti, inizia proprio con la scena di Benedict che si
reca al capezzale del bisnonno morente, il quale, essendo sanfratellano, si
rivolge al pronipote chiamandolo galloitalicamente Bittu. La cosa infastidisce Benedict che si ribella, replica e
sottolinea a forza che egli non si chiama Bittu
ma Benedict. E il bambino si opporrà, sempre con forza, diverse altre volte e
in altre situazioni e con altre persone, quando lo chiamano Bittu. Solo alla fine del racconto,
nell’ultima pagina e nell’ultima scena e nella quartultima battuta il ragazzino,
abbracciando la madre, le dice, chiedendoglielo con grande trasporto, “chiamami
Bittu”. Tutta la storia, ricca e
interessante, raccontata nel libro di Cotti, scorre attraverso la dialettica
dei due nomi e delle due identità corrispondenti, che prima si contrappongono e
poi si compongono, identificando lo stesso personaggio protagonista in due
diversi momenti della sua vita.
L’onomastica che, come abbiamo visto, si può
considerare un filo conduttore attraverso cui si svolge il racconto, non è
trattata autonomamente, non è staccata dagli altri temi, né prevarica su essi, ma
si lega a essi e si lega e s’integra armonicamente.
Si lega, ad esempio, con il discorso del confronto fra
generazioni. Infatti, quella di Ben è l’ultima di quattro generazioni, ed è
separata dalla prima da ottanta anni di eventi; è ovvio che, passando di
generazione in generazione, si perdano i punti di riferimento e le relazioni
che regolavano la vita della generazione precedente. Così procedendo, si giunge
alla quarta generazione che ha perso ogni contatto con il mondo delle
generazioni che l’hanno preceduta.
Si lega con il tema dell’emigrazione in cui si
distingue la prima generazione emigrata, che rimane legata alla madre patria
anche perché, non parlando l’inglese, ha difficoltà a integrarsi nella nuova
collettività. La seconda generazione, invece, frequenta le scuole americane,
apprende l’inglese ma apprende anche dai genitori il dialetto materno e/o
l’italiano. Dalla terza generazione si rafforzano le conoscenze linguistiche e
culturali americane e s’incominciano a perdersi buona parte di quelle italiane,
si allenta, così, il legame con la patria di origine dei propri nonni. Nella
quarta generazione è raro trovare persone che conservano ancora consistenti
tratti linguistici e culturali dell’italianità.
Si lega con il tema dell’identità. Il nome proprio è
importante per definire l’identità di un individuo adulto e lo è ancora di più
per un bambino di sei anni, come Benedict, che ha i problemi d’identità propri
dei bambini della sua età, che hanno appena capito il posto che essi occupano
nei complessi rapporti di parentela.
Si lega con il tema delle proprie origini. Se Benedict
rifiuta recisamente l’attribuzione del nome Bittu
e ripete di chiamarsi Benedict, lo fa non per una semplice precisazione e
rettifica linguistica e neppure per una forma di abiura, ma lo fa perché non
conosce il contesto linguistico e culturale da cui scaturisce tale nome.
Si lega anche con il tema delle tradizioni e della
memoria collettiva. Solo dopo che la brava e informata Meirasa gli spiegherà
che il Gesù bambino che tiene in braccio San Benedetto gli è stato consegnato
dalla Madonna in persona, solo allora Benedict può riconciliarsi con quel santo
negro che, suggestionato dal razzismo americano per i negri, egli aveva creduto
un ladro di bambini. Solo quando Benedict, prende coscienza delle proprie
origini, capisce che il nome Bittu
non cancella, come aveva temuto, la sua identità, condannandolo all’anomia, ma
la rafforza, certificandola storicamente. Allora e solo allora ha piacere e
sarà orgoglioso di farsi chiamare Bittu.
Finito di divorarne il contenuto e chiuso il libro, al
lettore, appagato e rigenerato dalla lettura, rimane solo un desiderio:
rivedere quello che ha letto tradotto in un film, in cui la storia scritta,
trasportata dalla pagina allo schermo, sia resa più coinvolgente dal
susseguirsi delle immagini, che, combinandosi con le parole, rendono un
racconto più incisivo ed emozionante.
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