San Benedetto da San Fratello detto il Moro: La Vita


San Benedetto da San Fratello - Uomo senza frontiere venerato in tutto il mondo"Comitato

Sito web a cura del "Comitato festeggiamenti San Benedetto il Moro" San Fratello (ME).

lunedì 1 aprile 2013

La permanenza di San Benedetto a Santa Maria di Gesù

L'adesione ai Frati Minori Osservanti e la vita umile nel convento.
Dopo quest’avvenimento Benedetto, in uno dei suoi soliti colloqui spirituali con la Madre Celeste, protestò d’innanzi ad una statua di “Maria SS. che libera le anime dal pericolo dell’Inferno” scolpita dal Laurana e conservata nella Cattedrale di Palermo: «Dimmi, Madre, che farò? Che devo fare?» e la Vergine Maria non lo lascia solo e smarrito, parla al suo cuore e gli indica la strada da seguire. Benedetto va, e Fra’ Francesco Gargano lo segue. Benedetto si diresse fuori le mura di Palermo, uscendo per una delle porte orientali che danno sui giardini che diradano sui monti della Conca d’Oro. Il Frate Moro assieme a Fra’ Francesco decisero di aderire ai Frati Minori Osservanti e si diressero spediti verso il Convento di “Santa Maria di Gesù”, ai piedi del monte Grifone.

San Benedetto da San Fratello entro tra i Frati Minori Osservanti e mori tra i Frati Minori Riformati, dal tutolo dato al Convento dopo il passaggio alla Riforma del 28 Settembre 1578. Padre Arcangelo Scicli, superiore del convento, appena seppe che un cento frate moro chiedeva udienza per entrare nell’ordine; riconoscendo in Benedetto il famoso eremita moro per il quale si erano scomodati nobili e autorità, lo accolse e Benedetto, nel suo cammino, saltò il primo periodo di postulandato ed il secondo: quello di noviziato per la promessa fatta da lui e dagli eremiti di Girolamo Lanza di osservare la Regola di San Francesco, cosa che questi frati assieme a Benedetto aveva portato avanti nell’eremitaggio. «Solemnia vota ex facultate apostolica nuncupavit». Benedetto pronunziò i voti solenni per autorizzazione della Santa Sede. In un primo tempo fu mandato nel convento di Sant’Anna di Giuliana, luogo che si ispirava maggiormente alla vita fatta da Benedetto nei suoi primi anni di eremitaggio, un periodo quello di Sant’Anna di Giuliana, caratterizzata dall’anonimato e dalla pace, nel quale Dio non compì miracoli per mano di Benedetto e nel quale il Santo entrò in un’intimità più profonda con l’Onnipotente, sperimentando pienamente le vie della mistica. Qui vi rimase tre anni, nel 1565, venne richiamato a Palermo, dove visse ventiquattro anni e dove morì. 
 

Le celle del Convento, piccole, basse con una finestrella che era più che altro una feritoia, erano affiancate le une alle altre. La sua (che oggi è trasformata in cappella) era la prima a destra, terminata l’angusta rampa di scale che sbocca all’inizio del corridoio del vecchio Convento quattrocentesco. E lui l’abitava con umiltà. Vivere con i francescani che lo avevano accolto era per lui un onore. Lui, figlio di schiavi, si definiva povero schiavo peccatore e voleva che gli altri lo stimassero per tale ma la sua schiettezza e sincerità e la Novità introdotta nella sua vita lo circondavano di una riverenza allarmante per la sua semplicità; a lui erano rivolti sentimenti di stima provenienti dalla sua fama di Santità che lo sconvolgevano, provocando le sue proteste ad indegnità, perché quella sua santità, egli la contestava. Benedetto rimase analfabeta e laico, cioè non sacerdote né chierico; illetterato e semplice anche tra i frati di Santa Maria di Gesù che lo accolsero. Il quel tempo il frati sacerdoti e dotti governavano l’Ordine e i Conventi, mentre i frati laici erano addetti ai lavori domestici e più umili. Spazzare i cortili del Convento, rigovernare i piatti e le pentole nella grande cucina, spaccare la legna nei boschi e portarla nella legnaia, zappare l’orto di Santa Maria di Gesù, apparvero a Benedetto i compiti adatti alla sua umile persona. Ma non gli bastava: Lavare i piedi, come fece Gesù, ad un povero frate forestiero era un compito che trovava Benedetto pronto; un ammalato era particolarmente bisognoso di cure fisiche e spirituali, Benedetto se ne faceva personalmente carico. Umiltà e Carità s’intersecavano, Cristo gli appariva nelle persone compite dalle piccole e grandi miserie della vita, le quali scoprivano in quel nero fratello, dalla pazienza infinita e dalle risorse inesauribili, un consolatore inaspettato.
Troppo a lungo aveva meditato sull’Amore di Cristo, sulla Misericordia del Padre per non trasformarsi lui stesso in strumento d’amore e misericordia. Evitava luoghi affollati, cercava la via più breve per raggiungere le case di chi aveva bisogno, gli ospedali e i carceri al fine di aiutare e portare la viva Parola di Dio che è conforto e consolazione. Rassettava i giacigli, riavvolgeva le bende, vuotava i vasi di decenza e li lavava, dava da mangiare ai vecchi sdentati, agli ammalati troppo deboli. Con gli infermi e i condannati, Benedetto parlava ed ascoltava. Parole nuove; parole di Fede e di Speranza. Gesù Salvatore. Dio Padre Misericordioso. Pentimento dei peccati. Virtù della Pazienza. Fiducia nel Premio. Certezza dell’Altra Vita. Benedetto aveva filtrato quelle parole in decenni di meditazione ed non erano solo parole ma palpiti del suo cuore.

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