Dopo quest’avvenimento Benedetto, in uno dei suoi
soliti colloqui spirituali con la Madre Celeste, protestò d’innanzi ad una
statua di “Maria SS. che libera le anime dal pericolo dell’Inferno” scolpita
dal Laurana e conservata nella Cattedrale di Palermo: «Dimmi, Madre, che farò?
Che devo fare?» e la Vergine Maria non lo lascia solo e smarrito, parla al suo
cuore e gli indica la strada da seguire. Benedetto va, e Fra’ Francesco Gargano
lo segue. Benedetto si diresse fuori le mura di
Palermo, uscendo per una delle porte orientali che danno sui giardini che
diradano sui monti della Conca d’Oro. Il Frate Moro assieme a Fra’ Francesco
decisero di aderire ai Frati Minori Osservanti e si diressero spediti verso il
Convento di “Santa Maria di Gesù”, ai piedi del monte Grifone.
San
Benedetto da San Fratello entro tra i Frati Minori Osservanti e mori tra i
Frati Minori Riformati, dal tutolo dato al Convento dopo il passaggio alla
Riforma del 28 Settembre 1578. Padre
Arcangelo Scicli, superiore del convento, appena seppe che un cento frate moro
chiedeva udienza per entrare nell’ordine; riconoscendo in Benedetto il famoso
eremita moro per il quale si erano scomodati nobili e autorità, lo accolse e
Benedetto, nel suo cammino, saltò il primo periodo di postulandato ed il
secondo: quello di noviziato per la promessa fatta da lui e dagli eremiti di
Girolamo Lanza di osservare la Regola di San Francesco, cosa che questi frati
assieme a Benedetto aveva portato avanti nell’eremitaggio. «Solemnia vota ex facultate apostolica
nuncupavit». Benedetto pronunziò i voti solenni per autorizzazione della Santa
Sede. In un primo tempo fu
mandato nel convento di Sant’Anna di Giuliana, luogo che si ispirava
maggiormente alla vita fatta da Benedetto nei suoi primi anni di eremitaggio,
un periodo quello di Sant’Anna di Giuliana, caratterizzata dall’anonimato e
dalla pace, nel quale Dio non compì miracoli per mano di Benedetto e nel quale
il Santo entrò in un’intimità più profonda con l’Onnipotente, sperimentando
pienamente le vie della mistica. Qui
vi rimase tre anni, nel 1565, venne richiamato a Palermo, dove visse
ventiquattro anni e dove morì.
Le
celle del Convento, piccole, basse con una finestrella che era più che altro
una feritoia, erano affiancate le une alle altre. La sua (che oggi è
trasformata in cappella) era la prima a destra, terminata l’angusta rampa di
scale che sbocca all’inizio del corridoio del vecchio Convento quattrocentesco.
E lui l’abitava con umiltà. Vivere
con i francescani che lo avevano accolto era per lui un onore. Lui, figlio di
schiavi, si definiva povero schiavo peccatore e voleva che gli altri lo
stimassero per tale ma la sua schiettezza e sincerità e la Novità introdotta
nella sua vita lo circondavano di una riverenza allarmante per la sua
semplicità; a lui erano rivolti sentimenti di stima provenienti dalla sua fama
di Santità che lo sconvolgevano, provocando le sue proteste ad indegnità,
perché quella sua santità, egli la contestava. Benedetto rimase analfabeta e laico, cioè non sacerdote né chierico;
illetterato e semplice anche tra i frati di Santa Maria di Gesù che lo
accolsero. Il quel tempo il frati sacerdoti e dotti governavano l’Ordine e i
Conventi, mentre i frati laici erano addetti ai lavori domestici e più umili.
Spazzare i cortili del Convento,
rigovernare i piatti e le pentole nella grande cucina, spaccare la legna nei
boschi e portarla nella legnaia, zappare l’orto di Santa Maria di Gesù,
apparvero a Benedetto i compiti adatti alla sua umile persona. Ma non gli
bastava: Lavare i piedi, come fece Gesù, ad un povero frate forestiero era un
compito che trovava Benedetto pronto; un ammalato era particolarmente bisognoso
di cure fisiche e spirituali, Benedetto se ne faceva personalmente carico.
Umiltà e Carità s’intersecavano, Cristo
gli appariva nelle persone compite dalle piccole e grandi miserie della vita,
le quali scoprivano in quel nero fratello, dalla pazienza infinita e dalle
risorse inesauribili, un consolatore inaspettato.
Troppo a lungo aveva meditato sull’Amore di
Cristo, sulla Misericordia del Padre per non trasformarsi lui stesso in
strumento d’amore e misericordia. Evitava luoghi affollati, cercava la via più
breve per raggiungere le case di chi aveva bisogno, gli ospedali e i carceri al
fine di aiutare e portare la viva Parola di Dio che è conforto e consolazione.
Rassettava i giacigli, riavvolgeva le
bende, vuotava i vasi di decenza e li lavava, dava da mangiare ai vecchi
sdentati, agli ammalati troppo deboli. Con gli infermi e i condannati,
Benedetto parlava ed ascoltava. Parole nuove; parole di Fede e di Speranza.
Gesù Salvatore. Dio Padre Misericordioso. Pentimento dei peccati. Virtù della
Pazienza. Fiducia nel Premio. Certezza dell’Altra Vita. Benedetto aveva
filtrato quelle parole in decenni di meditazione ed non erano solo parole ma
palpiti del suo cuore.
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