San Benedetto da San Fratello detto il Moro: La Vita


San Benedetto da San Fratello - Uomo senza frontiere venerato in tutto il mondo"Comitato

Sito web a cura del "Comitato festeggiamenti San Benedetto il Moro" San Fratello (ME).

venerdì 22 giugno 2018

San Benedetto il Moro: il Santo di Colore che veglia silente su Ballarò

L'opera di Igor Palminteri raccontata da Giada Costanzo
Di Giada Costanzo
Oltre le mura consunte di abitazioni plasmate dal sole cocente, esiste un campetto da calcio, un luogo anonimo ove lo sgambettare veloce e irruento, le fragorose risa e le sonanti voci dei ragazzini esperti, colorano le vivaci giornate del borgo popolare chiamato Ballarò. Qui, da qualche giorno troneggia un’immagine inattesa, audace.
È l’immagine di Benedetto Manasseri, noto anche come San Benedetto il Moro, il primo Santo di colore della storia. Un uomo che visse e operò nella sempre multietnica metropoli europea che è Palermo. Quella Palermo dagli angoli smussati dal ricordo della sua storia impressa nel labirinto delle sue viuzze accese. Là, ove la fragranza della mistura di popoli e culture si fa sonante e pervasiva di un rintoccare costante.
San Benedetto il Moro non è molto conosciuto, egli è eppure insieme a Santa Rosalia patrono e protettore di Palermo.
Un frate africano divenuto protettore di Palermo
Come suona sorprendente questa circostanza. Eppure, mai storia fu più vera né tanto sapientemente aderente alla realtà così spinosa di questi giorni. Seppure egli non sapesse né leggere né scrivere, la sua bocca sapeva proferire il frutto di ogni saggezza. Poveri e ricchi, dotti e religiosi, nobili e potenti, tutti accorrevano per ascoltare il suo detto, ricevere la sua benedizione.
Le 63 primavere che gli regalò la vita, Benedetto le visse sempre al fianco dei più umili, essendo egli stesso simbolo degli ultimi: gli schiavi. Ebbene sì poiché egli, nato a San Fratello, in quella Sicilia al tempo vicereame spagnolo, era figlio di schiavi giunti dall’Africa. Il primo suo respiro lo aveva consumato tra i sorrisi speranzosi di quegli uomini stanchi che in quel dì del lontano 1524 lo circondavano affettuosi.
Al contrario dei suoi fratelli, a lui era stata offerta la libertà sin dalla nascita. L’allora padrone Vincenzo Manasseri, al fine d’incoraggiare i suoi due schiavi a dargli una ricca prole, aveva difatti promesso la concessione della libertà al di loro primogenito. E così era stato.
La sua fu una vita intensa vissuta dapprima da eremita; nel raccoglimento della preghiera, nei digiuni e nelle penitenze. Di lui colpiva il carisma ardente di chi sa leggere con un sol sguardo entro il cuore di ogni essere senza contemplarne razza, nome, ceto o provenienza. La sua fama crebbe sì ardentemente da spingere lui e i suoi compagni, a spostarsi con costanza alla ricerca di quell’isolamento necessario alla missione assunta.
Trascorse il resto della sua esistenza nell’ordine dei Frati Minori di San Francesco. Un’esistenza sempre condotta sotto l’orma impenetrabile di un sacrificio intimo, di un isolamento ricercato; cosa che però non gli impedì mai di accorrere allorquando qualcuno chiedesse il suo aiuto. Il senso di carità inciso nel suo animo era sì brillante ed accecante da avvicinarlo al cuore di ogni uomo.
Nonostante i lunghi digiuni, i costanti sacrifici, egli era sempre pronto a offrire e offrire ancora. La sua celletta fu sempre spoglia. Il suo riposo sempre misurato, per lo più consumato sulla lastra fredda del pavimento della sua stanzetta; là ove solo una croce incerta, impressa sulla parete con del carbone e le immaginette di altri santini cui era particolarmente devoto, facevano da cornice alla nudità del suo riparo.
Una grave malattia lo esaurì infine dopo trenta giorni trascorsi in un contralto di dolori e patimenti, il 4 aprile del 1589. Prima dell’ultimo suo respiro, Benedetto ricevette l’Eucarestia, guardò i suoi compagni tristi in volto e chiese perdono; perdono a tutti.
L’uomo che sino all’ultimo si era ritenuto il più misero degli esseri e il più grande dei peccatori, fu proclamato Santo molto tempo dopo, nel 1807, dalla Chiesa che ne riconobbe inoltre i miracoli compiuti.
San Benedetto il Moro è ad oggi l’emblema compiuto di una vita santa impressa sotto l’orma di una compassione pura, scevra da limiti di razza, lingua o cultura. L’emblema di una coesistenza che si rinnova nell’incontro con il diverso, riconoscendo in esso il valore di una tradizione vibrante e corposa.
E ancora, l’emblema di catene che possono infine esser sciolte
Dall’alto di quel muretto reduce di una chiesetta ormai diroccata, che si offre silente al racconto di una narrazione antica, si erge oggi l’immagine del Santo che torna a vegliare su Palermo nel suo vivace trascorrere, auspicando per essa il ritmo di un’accoglienza rinnovata, di una pace riaffiorata.
Il bellissimo murale ci viene regalato dalla sapiente mano del grande artista Igor Scalisi Palminteri. L’immagine di San Benedetto il Moro viene incastonata nello scintillare di una patina dorata, testimone di una tradizione propria delle sacre icone. La sua commissione entra nella cornice del progetto Erasmus + MATCH, promosso dal CESIE e HANDALA di Palermo, all’interno di “Mediterraneo Antirazzista”.
Come suona dunque illuminante questo titolo “Mediterraneo Antirazzista”: la manifestazione sportiva, artistica e culturale volta alla promozione delle relazioni interculturali e multietniche tra le diverse componenti che abitano la città metropolitana, in un rinnovato incontro tra le contraddizioni del centro e della periferia, dell’inclusione e dell’esclusione.
In fondo, su un campetto di calcio tutti sono uguali indipendentemente dal colore della pelle, dalla lingua o dal paese di provenienza
Così, in quell’angolo prima dimenticato e spento, ove solo sporcizia ed i resti di goliardiche abitudini trovavano dimora, si erge oggi timida una speranza nuovamente impressa sul viso di quell’uomo pio che con la mano ferma regge il simbolo della gabbia che un tempo s’intrecciava alla sua esistenza. La stessa gabbia che oggi si lega inevitabilmente alla vita di coloro che anelano la speranza di una vita dignitosa, vissuta oltre la prigionia dell’ignoranza e della discriminazione.
Le vittorie più grandi si possono ottenere con piccoli traguardi, così come i piccoli miracoli possono forse affiorare sul sorriso dei giovani ragazzi che incuranti delle loro differenze, giocano insieme sull’erba stropicciata di un campetto anch’esso prima dimenticato e oggi sapientemente assolto dal suo inesorabile logorio.

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