di Francesco Fustaneo
Intervista a Igor Scalisi Palminteri. Il maestro Igor Scalisi Palminteri è un’artista eclettico e innovativo. Nato a Palermo nel ‘73, città in cui attualmente vive e lavora, nel 2005 ha conseguito il diploma di laurea presso l’Accademia di Belle Arti di Palermo. Attualmente è impegnato in diverse attività legate al sociale e all’arteterapia.
Di recente hanno fatto molto discutere due delle sue ultime opere realizzate nel capoluogo Siciliano: la raffigurazione di San Benedetto il Moro, co-patrono di Palermo nel cuore del quartiere Ballarò e il murales dedicato a Sacko Soumaila, bracciante agricolo e sindacalista ucciso in Calabria, dipinto su un dissuasore stradale nei pressi dei Quattro Canti .
Maestro, parliamo prima di San
Benedetto il Moro, che lei ha voluto immortalare nel cuore del centro storico
della città, in una zona ormai multiculturale e da sempre in bilico tra
rinnovamento e degrado: perché fare un murales proprio lì e perché raffigurare
proprio questa figura religiosa, che tra l’altro anche i Palermitani
conoscevano poco?
Il quartiere prescelto per
dipingere quest’opera era in realtà attenzionato già da un po’ da diverse
associazioni e da liberi cittadini che si sono interessate alle persone e
alle cose del territorio. Io ero in contatto con alcuni di loro che hanno preso
a cuore questa vicenda con Sos Ballarò e Mediterraneo Antirazzista: l’obiettivo
in questa occasione era quello di recuperare una zona, quella adiacente al
campo di bocce , dove sorge anche un campo di calcetto che sempre i cittadini
hanno realizzato. Il murales va pensato e inquadrato in questo contesto, non ha
solo una valenza meramente artistica ma da collegare al recupero di una zona,
di un pezzo di quartiere. Perché farlo qui e perché disegnare San Benedetto il
Moro? Beh perché ci troviamo in uno dei quartieri forse più multiculturali
d’Italia e volevo far conoscere ai Palermitani questa, che più di altre,
incarna la figura del migrante contemporaneo: potremmo anzi definirlo un “migrante”
di seconda generazione. Benedetto nasce a San Fratello, nel messinese, da una
famiglia discendente da schiavi neri, viene accolto dalla città di Palermo
dove lavorava come cuoco, come tanti altri migranti che approdano oggi in
Italia: mi sembrava una figura perfetta da far conoscere ai palermitani e
ricordare loro che è Patrono della città così come lo è Santa Rosalia.
Vicino ai Quattro Canti,
ammirato dalle migliaia di turisti che in questo periodo affollano le vie di
Palermo, spicca invece il ritratto commovente dell’ uccisione di Sacko
Soumaila. Lei ha parlato di una vicenda che l’ha turbata molto: che cosa ci
dice in merito a questa sua opera?
Ci sono episodi che spesso
passano in sordina perché sono scomodi e lo sono in primo luogo ai politici,
perché hanno colpevolmente ignorato i fenomeni dello sfruttamento e della
schiavitù che esistono nei campi in Calabria, in Sicilia, così come in tante
altre parti d’Italia. Quella in questione è sicuramente una vicenda dolorosa,
prima ancora che per l’uccisione di questo giovane, per il fenomeno dello
sfruttamento che non è una semplice questione di salario basso; anzi più che di
sfruttamento dovremmo parlare di “schiavitù contemporanea”, perché di questo si
tratta se sei costretto a lavorare nei campi sotto il sole cocente per dodici
ore consecutive a due euro l’ora. Inoltre una responsabilità non di poco
conto è da attribuire ai media che non hanno attenzionato, come seriamente
andava fatta, questo brutale e assurda uccisione tra le altre cose di un
ragazzo, un sindacalista che si occupava dei suoi “fratelli”, sfruttati
anch’essi. Quest’episodio mi ha molto segnato: se fosse successo l’inverso e
cioè se fosse stato un nero a uccidere un bianco si sarebbe gridato allo
scandalo e si sarebbe alzato un coro di voci contro gli sporchi e cattivi
“negri” che rubano il lavoro e uccidono le nostre donne e i nostri uomini.
Siccome è accaduto il contrario non c’è stato lo stesso clamore. Queste
motivazioni mi hanno spinto ad omaggiare la vicenda di Sacko, raffigurandola
nel centro della mia città che credo sia una città accogliente e lo ha
dimostrato con l’imponente manifestazione dei giorni scorsi per accogliere la
nave Acquarius nel porto di Palermo.
Lei che parere ha sulla
questione migratoria?
Io come cittadino, prima ancora
che come artista sono per l’abbattimento di ogni barriera e di ogni confine e
per la libera circolazione delle persone: non solo per coloro che scappano
dalle guerre piuttosto che da carestie o povertà ma da chiunque voglia fare
un’esperienza o andare in un continente diverso. Noi italiani, in particolare
noi siciliani, siamo stati e siamo tutt’ora un popolo di migranti. Io in primis
ho tanti parenti emigrati in America: noi siamo emigrati e siamo stati accolti
all’estero, questo non dobbiamo dimenticarlo. E’ un nostro dovere accogliere
chi vuole fare una nuova esperienza, chi necessita di essere accolto in un
posto sicuro. Io sono favorevole all’eliminazione di ogni barriera e di
ogni confine.
Un’ultima domanda: che può fare
l’arte in un periodo in cui l’odio del diverso sta tornando a imporsi nella
società?
L’arte ha un ruolo
determinante, l’ha sempre avuto, in quanto fatta da uomini e da donne che si
esprimono e quando sei libero di esprimerti puoi assumere un ruolo fondamentale
nella società. Qualcuno parlava di “dittatura delle immagini”: le immagini per
certi versi hanno una forza maggiore delle parole. Dipingi un episodio, dipingi
una cosa e rimane lì, fissa e visibile a tutti nel tempo. Le parole invece
scorrono, vanno via. Io chiaramente quando parlo di arte, ne parlo dal mio
punto di vista, quello dell’arte visiva, perché è quello di cui mi occupo. In
generale, invece posso dire che l’artista, qualunque sia il suo percorso,
qualunque sia la sua arte, deve comprendere che egli è come un filtro che
accoglie gi avvenimenti che accadono nel mondo e li “rivomita” secondo la sua
prospettiva. Chi guarda un’opera d’arte viene invaso da questo messaggio e in
questo senso l’artista ha una grande responsabilità.
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