Dal libro "Nera fonte di
luce" di Umbero Castagna, un passo che ci descrive le umili origini di San Benedetto.
“
Vu cumprà?”
Il
ragazzo nero sorride, tenendomi le braccia cariche di inutili cose luccicanti. Il suo sorriso è aperto e cordiale, fiducioso. Tutto il suo viso nero è
illuminato da quel sorriso, dai quei denti bianchi. I capelli sono crespi e
fitti, il naso leggermente camuso, le labbra grandi e fortemente disegnate: è
un bel ragazzo. Anche Benedetto era bello. Forse non è questo il modo di
cominciare a raccontare la storia di un santo, ma non posso farci niente, le
antiche carte parlano chiaro: Benedetto alla nascita era un gran bel bambino, e
crebbe bene, non molto alto ma forte e robusto e di lineamenti gradevoli.
“Vu
cumprà ?”, dice il ragazzo nero. E fa tintinnare le catenine finto oro, le
collane di pietre false e luccicanti, i braccialetti di metallo rozzamente
ageminato, gli anelli delle enormi pietre, infilati in lunghi lacci, che gli
pendono dalle braccia in quantità invero simile. Tra i poveri venditori
ambulanti è uno dei più poveri, manca perfino del solito panchetto che i suoi
colleghi, neri olivastri e bianchi, ostentano agli angoli delle strade,
stracolmo di mille oggetti, la cui vendita ricavano il poco denaro della loro
sopravvivenza, e che pure turba i sonni dei commercianti italiani. Li vedi
all’ora dell’apertura dei negozi, apparire alti e magri e per lo più neri,
carichi di grosse sacche e di tavoli da pic-nic chiusi che apriranno sull’orlo
dei marciapiedi delle strade più affollate o tra la porta e l’altra, per riempirli
di infiniti “articoli” di vendita, bigiotteria, radioline, orologi, occhiali da
sole, cravatte e fazzoletti… Sono seri, decisi, fiduciosi, instancabili. Non
potrebbero non esserlo, del resto non hanno alternativa. La lunga strada dietro
di loro è una strada senza ritorno.
“Vu
cumprà?”, dice il ragazzo nero che non appare affatto stupito del mio lungo
indugiare. Attende. Comincio allora a toccare una catenina in similoro, una
qualsiasi, fingendomi interessato. Finirà che dovrò comprarla, poi perché il
sorriso del giovane nero si è fatto pieno di speranza, e intanto gli chiedo:
<< di dove sei? Da quale paese dell’Africa vieni?>>. Tutti si
chiedono, oggi, da dove viene questo sciame di giovani di ogni colore, ma in
parvenza neri, che riempiono le nostre città e crea problemi all’Italia e alle
sue istituzioni. Sono giovani sradicati dalla loro terra, dalle loro abitudini,
dalle loro famiglie, e fuggono dalla fame o- quando si tratta di rifugiati
politici- dalle persecuzioni o dalla morte. Cosa facevano invece a San
Fratello, un piccolo centro montano, non lontano dalla costa settentrionale
della Sicilia, i genitori neri di Benedetto, Cristoforo e Diana, nei primi del
1500? Erano schiavi. Si avete letto bene, erano schiavi in Sicilia, in Italia,
in piena era cristiana e moderna. Non erano soli, erano folla. Ho accettato
questa realtà con fatica, con riluttanza e ripugnanza, cercando di respingerla
o almeno di circoscriverla, di farne un caso isolato vendicato dalla trionfale
santità di Benedetto, il primo nero della storia proclamato santo.
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