Percorrendo la via Regione
Siciliana, prima di immettersi nell’autostrada per Catania, a destra c’è la via
Santa Maria di Gesù che conduce nell’omonimo quartiere. Poche centinaia di
metri e si raggiunge una grande piazza e continuando diritto in leggera salita,
costeggiando un piccolo cimitero, si raggiunge l’ingresso al convento dei frati
minori francescani appunto di Santa Maria di Gesù. È una bella costruzione del
quattrocento dove regna una pace ed un silenzio indescrivibili.
Oggi sono rimasti in pochi,
ma una volta, tanti anni fa, il convento era popolato da molti frati che nel
silenzio e nella preghiera custodivano questo luogo sacro.
Una breve passeggiata sotto i cipressi conduce all’ingresso della chiesa.
Appena dentro, subito sulla destra, un sepolcro in vetro conserva le spoglie
non del tutto corrotte di un uomo: è disteso
nel riposo eterno ed il suo volto è nascosto dietro una maschera di cera che ne
riproduce le sembianze: si tratta di un fraticello nero e pochi sanno che
quest’uomo è stato proclamato patrono e protettore di Palermo insieme a Santa
Rosalia.
Un frate africano patrono di Palermo? Esatto. E molti resterebbero ancora più
stupiti sapendo che era un semplice frate, neppure sacerdote, addetto ai lavori
umili del convento e per giunta analfabeta. Non sapeva leggere né scrivere e
tuttavia nei suoi 63 anni di vita fu consigliere di nobili e potenti, amico dei
poveri e degli umili, seppe confortare i diseredati ed istruire nelle sacre
scritture dotti e teologi.
Andiamo a scoprire chi fu
questo santo umile che con la sua vita incarnò perfettamente l’ideale
francescano e divenne l’emblema di una vita santa che non conosce la razza o il
colore della pelle quando è impregnata dell’amore per Cristo.
La nascita tra gli schiavi
Nella città di San Fratello,
diocesi di Messina, in Sicilia, era circa l’anno 1524 quando nasceva Benedetto
Manasseri. Non era un bambino come tutti gi altri. Non solo perché sarebbe
diventato un grande santo, ma ancor più perché era un “nero”, figlio di neri
africani, figlio di schiavi comprati da mercanti senza scrupoli che barattavano
i loro prodotti con mercanzia umana.
Nel sud Italia di questi
secoli, è raro trovare registri notarili che non contengano un atto di vendita
di schiavi o inventari in cui non siano elencati, tra i beni mobili e gli
animali, anche esseri umani. Una vergogna che non risparmiava neppure gli
ecclesiastici e le comunità religiose, nonostante le indicazioni ufficiali di
papa Pio II, nel 1462 erano state di massima severità per chi praticava tale
commercio.
Gli schiavi non avevano
identità propria, per lo più assumevano il cognome del loro padrone. Il
padrone-proprietario aveva diritto di vita e di morte sui suoi “averi” e spesso
li faceva sposare tra di loro (“sposare” perché siamo in un periodo di
“fervente” cristianità), ma in realtà si trattava di accoppiamento.
Proprio così, come le
bestie, perché i piccoli neri rendevano parecchio perché potevano essere
venduti.
Vincenzo Manasseri non
doveva essere un cattivo padrone e tuttavia anche lui sperava di investire
nella proliferazione dei suoi schiavi. Per questo aveva acconsentito che il
suo,
Cristoforo sposasse Diana
Larcan, una donna nera forse affrancata dal suo padrone. Tuttavia la coppia
pare che non accontentasse il padrone figliando un nugolo di “scavuzzi”.
Secondo alcuni era per via di una scelta di castità cristiana degli sposi. Già,
erano neri, ma educati cristianamente e nella fede vissuta santamente il colore
della pelle non ha alcuna rilevanza. Fatto sta che il padrone promise di dare
la libertà al primogenito.
E così fu: il primo figlio, Benedetto, nacque libero sin dalla nascita.
Dopo di lui seguirono un fratello e due sorelle, di cui si conosce ben poco. Vincenzo Manasseri era stato comunque accontentato.
E così fu: il primo figlio, Benedetto, nacque libero sin dalla nascita.
Dopo di lui seguirono un fratello e due sorelle, di cui si conosce ben poco. Vincenzo Manasseri era stato comunque accontentato.
Secondo le testimonianze
dell’epoca, Benedetto crebbe in un clima di spiritualità che favorì la sua
educazione e gli diede una impronta particolare che lo avrebbe distinto dal
comportamento dei giovani contemporanei sin da quando era piccolo.
Essendo libero egli doveva provvedere al proprio sostentamento. E infatti lo vediamo spesso al lavoro nei campi con due buoi che era riuscito a comprare con tanti sacrifici. È in una di queste occasioni, nei poderi, durante la mietitura, che avviene un incontro che gli segnerà l’esistenza: quello con frate Gerolamo Lanza. Un ex cavaliere ritiratosi prima in convento e poi in eremitaggio nelle montagne intorno a Caronia a pochi chilometri da San Fratello.
Proprio questo Lanza, difendendo il giovane Benedetto dagli scherni dei compagni di lavoro, ne profetizzò una fama insospettabile. Fatto sta che da lì a poco, ancora ventenne, Benedetto, venduti i buoi e distribuitone il ricavato tra i poveri, segue Gerolamo nella vita eremitica.
Essendo libero egli doveva provvedere al proprio sostentamento. E infatti lo vediamo spesso al lavoro nei campi con due buoi che era riuscito a comprare con tanti sacrifici. È in una di queste occasioni, nei poderi, durante la mietitura, che avviene un incontro che gli segnerà l’esistenza: quello con frate Gerolamo Lanza. Un ex cavaliere ritiratosi prima in convento e poi in eremitaggio nelle montagne intorno a Caronia a pochi chilometri da San Fratello.
Proprio questo Lanza, difendendo il giovane Benedetto dagli scherni dei compagni di lavoro, ne profetizzò una fama insospettabile. Fatto sta che da lì a poco, ancora ventenne, Benedetto, venduti i buoi e distribuitone il ricavato tra i poveri, segue Gerolamo nella vita eremitica.
Vita
da eremita
Una vita dura, fatta di
preghiera, digiuni e penitenze, nella quale si distinse su tutti gli altri
tanto che la sua fama cominciò a spargersi nei paesi vicini e sempre più gente
accorreva al frate per chiedere consigli, ricevere benedizioni e invocare
miracoli.
Fama che non si addiceva con la vita eremitica del gruppo, così tutti insieme i frati furono costretti a trasferirsi di eremo in eremo, ora vicino Raffadali nell’agrigentino, ora nelle grotte della Mancusa, tra Carini e Partinico, ora sul selvaggio monte Pellegrino nei pressi di Palermo, dove, con la morte di Gerolamo, gli vengono affidate le redini della compagnia.
Dopo circa diciotto anni da quando Benedetto era entrato nella vita eremitica, nel 1562, il papa Pio IV ordinò che la congregazione dei frati detti “del Lanza” fosse sciolta: dovevano lasciare la vita eremitica e abbracciare una delle famiglie religiose approvate.
A malincuore, tutti ubbidirono disperdendosi non si sa dove. Benedetto già pensava di entrare a far parte dell’Ordine dei Cappuccini, ma mentre pregava nella cattedrale di Palermo, per tre volte ricevette un segnale celeste da cui capì di essere chiamato in quello dei Frati Minori di San Francesco.
Fama che non si addiceva con la vita eremitica del gruppo, così tutti insieme i frati furono costretti a trasferirsi di eremo in eremo, ora vicino Raffadali nell’agrigentino, ora nelle grotte della Mancusa, tra Carini e Partinico, ora sul selvaggio monte Pellegrino nei pressi di Palermo, dove, con la morte di Gerolamo, gli vengono affidate le redini della compagnia.
Dopo circa diciotto anni da quando Benedetto era entrato nella vita eremitica, nel 1562, il papa Pio IV ordinò che la congregazione dei frati detti “del Lanza” fosse sciolta: dovevano lasciare la vita eremitica e abbracciare una delle famiglie religiose approvate.
A malincuore, tutti ubbidirono disperdendosi non si sa dove. Benedetto già pensava di entrare a far parte dell’Ordine dei Cappuccini, ma mentre pregava nella cattedrale di Palermo, per tre volte ricevette un segnale celeste da cui capì di essere chiamato in quello dei Frati Minori di San Francesco.
La
vita in convento
Venne accolto nel convento
palermitano alle pendici del monte Grifone: Santa Maria di Gesù.
Fu inserito nel gruppo dei frati laici di quell’Ordine, e trasferito nel
convento di Sant’Anna a Giuliana, dove rimase tre anni conducendo vita
nascosta e solitaria. Tornò a Palermo, intorno al 1565, e qui trascorse il resto
della vita.
Non era più un eremita ma il
suo stile di vita rimase praticamente immutato: il suo cibo fu sempre molto
povero, spesso solo pane; non si tolse mai il cilicio che a suo tempo aveva
indossato; riposava poco, per lo più a terra; si dedicava ai lavori più umili
e faticosi. Pregava e meditava in ogni circostanza.
Interrompeva la preghiera o
qualsiasi altra occupazione al suono dei tre rintocchi della campanella del
frate portinaio (che era il segnale convenuto): allora si affrettava ad
accogliere tutte le persone che in gran numero desideravano parlargli:
a ciascuno sapeva elargire i consigli più opportuni. Nessuna meraviglia
pertanto se Benedetto era molto caro a tutti e se ogni classe di uomini,
nobili, dotti, confratelli, e superiori religiosi, chiedessero il suo aiuto,
lo consultassero per consigli, si raccomandassero alle sue preghiere. Per
questo, la sua fama di santità si diffondeva dappertutto fino a Napoli, a
Roma, nella Spagna e nel Portogallo.
Tuttavia egli era mite e
umile di cuore, aveva un’opinione molto bassa di sé, si riteneva il più piccolo
degli uomini e diceva di essere un grandissimo peccatore. Spesso visitava i
carcerati e gli infermi, offrendo loro tutti i servizi e le opere di carità ed
esortandoli alla pazienza e a riporre in Dio la propria speranza.
Aveva tanto amore e
misericordia per i bisognosi che spesso conservava il frutto della sua
astinenza e del suo digiuno per darlo ai poveri. E quando fu eletto superiore
del convento di Palermo (incarico accettato per ubbidienza), insisteva affinché
il portinaio non respingesse alcun povero che veniva a chiedere l’elemosina.
Le cronache e le
testimonianze riferiscono anche moltissimi miracoli riconosciuti al frate nero,
ma mi sembra più saggio sorvolare perché secondo me sono più il frutto di
leggende e facilità a riconoscere interventi miracolosi in ogni frangente.
Premonizioni, apparizioni di angeli, statue che parlano, cibi che si
moltiplicano, malati che guariscono e morti che resuscitano. Lasciamo stare.
Non faremmo onore ad una vita vissuta santamente nella povertà e nella
preghiera, nella fede e nel silenzio di una Presenza che si avverte dentro il
nostro cuore e non già in manifestazioni straordinarie ed eclatanti.
La sua morte
Il quattro aprile 1589,
martedì di Pasqua, all’età di 63 anni, dopo trenta giorni di sofferenze per una
gravissima malattia, Benedetto moriva nella sua celletta. Prima di ricevere
l’Eucaristia chiese perdono a tutti e a ciascuno dei confratelli. Poi si
spense serenamente in quel silenzio che tanto aveva amato durante la sua vita.
La procedura per la
canonizzazione di Benedetto il Moro era stata avviata subito dopo la sua morte
sin dal 1594 e ripresa nel 1622. Il processo si tenne nel 1625 ma si
interruppe, bloccato da una normativa di Urbano VIII sopraggiunta proprio in
quegli anni.
Il popolo, comunque, con la tolleranza e talvolta con l’incoraggiamento dei vescovi, continuò a venerare Benedetto come santo. Il suo culto si diffuse rapidamente in tutta la Sicilia, in Spagna, in Portogallo e in molti paesi dell’America Latina, soprattutto presso le popolazione nere che riconoscevano in lui un simbolo e una speranza di riscatto.
Il ventiquattro aprile 1652 il Senato Palermitano lo proclamò compatrono e intercessore della città, impegnandosi a recarsi ogni anno nell’anniversario della sua morte in pellegrinaggio al suo sepolcro portando quattro grossi ceri.
Il quindici maggio 1743 il papa Benedetto XIV lo proclamò beato.
Il popolo, comunque, con la tolleranza e talvolta con l’incoraggiamento dei vescovi, continuò a venerare Benedetto come santo. Il suo culto si diffuse rapidamente in tutta la Sicilia, in Spagna, in Portogallo e in molti paesi dell’America Latina, soprattutto presso le popolazione nere che riconoscevano in lui un simbolo e una speranza di riscatto.
Il ventiquattro aprile 1652 il Senato Palermitano lo proclamò compatrono e intercessore della città, impegnandosi a recarsi ogni anno nell’anniversario della sua morte in pellegrinaggio al suo sepolcro portando quattro grossi ceri.
Il quindici maggio 1743 il papa Benedetto XIV lo proclamò beato.
Negli anni successivi
continuarono le richieste della canonizzazione, sicché nel 1777 fu riconosciuta
dalla Congregazione dei Riti l’eroicità delle sue virtù, nel 1790 i due
miracoli richiesti e finalmente il ventiquattro maggio 1807, solennità della
santissima Trinità, il papa Pio VII con la Bolla Civitatem
Sanctam proclamò Benedetto Santo: il primo santo nero della
storia.
Questo è sufficiente: ora
non ci resta che andare a Santa Maria di Gesù e portare il nostro omaggio e, se
ci crediamo, le nostre preghiere a questo grande santo.
Fonte: PalermoViva
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