Entrano
nel vivo le festività pasquali e a San Fratello oggi si apre il triduo dei
giudei che mercoledì, giovedì e venerdì Santo invadono le strade del centro. Un
atmosfera unica, in cui si respira aria di festa.
Ma
si avvicina anche il 4 aprile, festa liturgica di San Benedetto, e 424°
anniversario della morte del Santo.
Il
nostro sito, in avvicinamento a tale data, vi propone quattro appuntamenti in
cui vengono narrati i principali episodi sulla vita di Benedetto, la
giovinezza, il tempo passato in preghiera, i miracoli e gli ultimi anni di
soggiorno a Palermo. Nel primo appuntamento vengono raccontati i primi anni di vita del Santo e l'incontro con Girolamo Lanza.
Benedetto il Moro nacque a San Fratello nel 1526 da
Diana Larcari e Cristoforo Manasseri, cristiani, discendenti da schiavi etiopi
portati in Sicilia. Il “Moro” a lui attribuito indicava, all’epoca, non solo il
colore della pelle ma perfino il credo religioso, sicché equivaleva spesso a
mussulmano o a non battezzato. Il termine era attribuibile agli schiavi che
venivano venduti in Europa e nel Mondo. Benedetto era “Moro”, la sua stessa
vicenda umana è caratterizzata da questo suo essere stato un negro, figlio di
schiavi negri ma nato e reso libero da un padrone, Vincenzo Manasseri.
Gli
schiavi erano piena proprietà del padrone, paragonabili a bestiame e beni
mobili ed immobili. Questi portavano il cognome di chi li comprava a sottolinearne
l’appartenenza. Benedetto affonda le sue radici nel cuore dell’Africa da dove
provenivano gli schiavi e ne rappresenta le razze redente o in ansiosa e
tumultuosa ricerca di libertà. Benedetto nacque da Cristoforo Manasseri: uomo
di fiducia di casa Manasseri al quale sottostava la servitù e custode di tutti
i beni della famiglia, dopo il dono fattogli da Vincenzo Manasseri (il padrone)
di sposare Diana Larcari (schiava liberata), egli, a causa delle leggi
discriminatorie che vedevano gli schiavi paragonati a merci e bestiame, decise
insieme alla moglie di non mettere subito al mondo un figlio per non renderlo
schiavo e soggetto a compravendite lucrative. Ma un matrimonio, anche tra
cattolici ferventi, difficilmente resiste al tempo se l’unione rimane sterile e
questo venne pienamente compreso da Vincenzo Manasseri che, comprendendo
l’enorme sacrificio d’amore che i due coniugi schiavi stavano portando avanti,
decise di sgravarli da questo peso promettendo loro che il primo figlio nato
sarebbe stato libero e così nacque Benedetto. Dopo Benedetto, nato libero, i
due coniugi ebbero altri figli: Marco, Baldassarra e Fradella che, si pensa,
rimasero schiavi. Si venne a formare una famiglia numerosa che rimase unita,
cioè, non smembrata da lucrative vendite da parte del padrone Manasseri. Già
all’età di dieci anni, Benedetto veniva comunemente chiamato dai contemporanei:
“il Santo Moro”. Adolescente, egli custodì il gregge del suo padrone e fin da
allora si distinse per le sue virtù e la sua caritatevole bontà. La Penitenza e
l’Eucaristia divennero per il giovane moro le più grandi passioni.
La miseria
economica lo circondava e la sua anima cristiana lo portava a sentirsi debitore
verso tutti. Nonostante le ingiurie dovute alla sua diversità e alla bassezza
del suo ceto sociale, Benedetto, sotto il suo inalterabile sorriso di risposta,
nascondeva un’energia che sarebbe esplosa in qualche modo, alimentata dalla
penitenza e dalla preghiera. È in uno di questi episodi incontra Girolamo
Lanza, che lo difese dagli insulti di alcuni giovani contadini. Girolamo era
uomo colto, nobile e nipote del celebre Cardinale Rabiba, originario del
paesino di San Marco d’Alunzio, era passato dalla mondanità più sfrenata alla
vita eremitica. Girolamo Lanza propose a Benedetto di seguirlo nella vita del
pellegrinaggio e della preghiera in umiltà e povertà.
Benedetto, accettando l’invito, si votava ad una vita penitenziale. Benedetto,
anima semplice e pura, il figlio liberato venderà i suoi buoi per farsi
eremita, distribuendo i soldi della vendita ai poveri. La vita che
intraprenderà sarà inumana: solitudine e digiuni, cilizi e preghiere. Dalla
scelta eremitica scaturisce un dialogo degli uomini con Dio attraverso la
figura di Benedetto e molta folla decide di rivolgersi a lui per parlargli e
chiedergli di parlare con l’Altissimo. Si rivolgeva a Benedetto: uomini, donne,
poveri, ricchi, sani, ammalati, anime in cerca di un maggiore contatto con Dio
e peccatori in cerca del perdono di Dio ed egli diceva: «Io sono un povero
negro peccatore, io posso solo pregare per voi».
Giungevano a lui da: San
Fratello, Caronia, San Marco d’Alunzio, Santo Stefano di Camastra, Mistretta e
da Nicosia per chiedere una parola di conforto, un consiglio, una benedizione,
un contatto fisico con la sua mano, pur sapendo che da quei contatti egli si
ritraeva con sgomento ed umiliazione.
Benedetto, imitando San Paolo (l’apostolo delle genti) s’era privato perfino della povera tunica di panno rattoppato di cui si vestivano gli altri eremiti, confezionandosi una tunica di foglie di palma (pianta che cresce vigorosa anche in Sicilia) Il Santo si vesti di questo goffo e gelido indumento per circa quattro anni, unica concessione: un cappuccio di lana per la testa. Anche quando la necessità lo costrinse a tornare ad un vesto più comodo e consono alle necessità di un frate, egli continuò a portare sotto la tunica, come mezzo di penitenza, le foglie di palma ricucite.
Benedetto, imitando San Paolo (l’apostolo delle genti) s’era privato perfino della povera tunica di panno rattoppato di cui si vestivano gli altri eremiti, confezionandosi una tunica di foglie di palma (pianta che cresce vigorosa anche in Sicilia) Il Santo si vesti di questo goffo e gelido indumento per circa quattro anni, unica concessione: un cappuccio di lana per la testa. Anche quando la necessità lo costrinse a tornare ad un vesto più comodo e consono alle necessità di un frate, egli continuò a portare sotto la tunica, come mezzo di penitenza, le foglie di palma ricucite.
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