Carlo Cotti: La mia Vita, è fatta di corsi, ricorsi, arrivi,
partenze, come questo 2019. Un Amico, una altra coincidenza che mi è arrivata, e
riparto in quarta “pensando a Benedict”, ne parlerò.
Come è nata l’idea.
I grandi incontri gli innamoramenti esistono e non soltanto verso persone ma anche verso
terre, luoghi, situazioni. E’ di questo
che voglio parlare.
Mi sono innamorato della Sicilia al primo incontro
nel lontano 1963 quando ero assistente di Alessandro Blasetti per un Liolà
cinematografico---ed ancora come aiuto regista a Monreale con Zeffirelli per “Fratello
Sole Sorella Luna” e
al
teatro Massimo di Palermo come aiuto regista di Mauro Bolognini, e poi come regista per il Paese dei
Campanelli… e
poi e poi.
La Sicilia è in me, anche come paese di vacanze… come
a Vulcano, dove sono nate molte delle mie sceneggiature.
…Mi fa piacere, prima
che ci si accinga a leggere Benedict,
e poi spero presto vedere il film, ricordare come sono arrivato ad immaginare questo
racconto che partendo da Ben
– ragazzino italo-americano, arriva ai ragazzi,
agli adulti prendendo lo spunto dalla storia di San Benedetto il
Moro(secolo 15mo), portandola ai nostri giorni come un road movie, partendo da
San Fratello sui Monti Nebrodi.
Nell’anno giubilare 2000 stavo preparando come autore e regista nella Città del
Vaticano in Aula Paolo VI, la serata dedicata alla Canonizzazione di madre
Bakita, delle Suore della Carità Canossiana, prima Santa Nera, (1869-1948,
dichiarata da Sua Santità Papa Giovanni Paolo II: “ Sorella Universale”, titolo
che ho mantenuto nel mio spettacolo. Parlandone con un
medico di Acquedolci - San Fratello, mi dice che in Sicilia oltre alla Madonna
Nera di Tindari, esiste un Santo Nero, San Benedetto il Moro……
La curiosità innata, sana che mi porta a conoscere la Vita , mi porta in
Sicilia a San Fratello nel Messinese, paese natale di Benedetto il Moro.
Incontro padre Salvatore di Piazza, il dottor Alfredo
Iraci,
cultore della figura di San Benedetto il Moro. Arrivo a San Fratello,
scoprendo, attraverso delle poesie, la lingua “gallo-italica”. Le prime pagine
scritte per FRAREAU, primo nome date al copione, per registrarlo alla Siae.
Di nuovo la curiosità, mi porta a parlarne con un
sanfratellano doc il professore Salvatore Riolo docente per la lingua gallo
italica…
Il professore Riolo, facoltà Lettere e Scienze della
Comunicazione, che ama il Cinema, mi propone di tenere in Università dei
laboratori sul linguaggio cinematografico. Da questi master ho ricevuto, nuovi
impulsi per il copione che stavo scrivendo, e molti studenti ai quali parlavo del progetto
mi hanno fatto conoscere altre belle realtà siciliane, diventando cosi un road
movie in terra siciliana.
Il perché.
In un
mondo di violenze, di soprusi, di perdita dei Valori, di rifiuti alla Vita, di
razzismo, di guerre di religioni, di immagini di vita da non imitare, la mia
sceneggiatura è controcorrente, è un racconto a lieto fine, senza messaggi da
buonista ma di buon auspicio,un auspicio da imitare, come e quando le favole
che finivano lietamente cominciavano con un C’era un volta.
C'era
un tempo aggiungo io, che fra nonni e nipoti, fra
genitori e figli passava un certo modo di raccontare tramandandosi valori,
amore per la Vita ,
rispetto verso gli altri, fatti, idee, esperienze.
Guardare
la vita, sempre, con lo sguardo nuovo, innocente, innocentemente cattivo di un
bambino e… mai dimenticare di esserlo stato…
Ben un bambino che non accetta un uomo nero
con un bimbo bianco, in braccio e in Sicilia. Scoprirà il Significato.
Personaggi , date,
che si confondono.
Nel
2000 grazie a San Fratello ho scoperto San Benedetto il Moro.
Passano
gli anni, mi dedico al racconto, cambio, ricambio , sento gli Amici di San
Fratello, giovani e meno giovani.
A
Catania , il prof Riolo è pieno di consigli, di pareri.
Il
copione prende Vita , quando nel 2006, Vinco il “Premio Speciale d’Onore” al
Baff Film Festival. Contento cerco un/il produttore, forse, ed avviene diverse
volte nella mia carriera, che sono “ in anticipo su quello che accade”.
Ricambio
ancora, San fratello, ormai è una mia meta preferita, respiro Pace. Amici sanfratellani
che abitano nel Nord, vicino a Milano e
nasce, anche il libro “Benedict” con la sceneggiatura premiata. Nel 2012, fra
alti e bassi della mia Vita, per presentare Benedict, torno in Sicilia, fra
Catania , Palermo e San Fratello per un master-class sul Cinema.
Passano
gli anni, e il pensiero corre ad ogni anno al 4 aprile, e a settembre, a San
Benedetto il Moro, a Benedict, la mia Vita, è fatta di corsi, ricorsi, arrivi,
partenze, come questo 2019. Un Amico, una altra coincidenza che mi è arrivata, e
riparto in quarta “pensando a Benedict”, ne parlerò.
BEN , sceneggiatura originale di
Carlo Cotti
premiata al BaffilmFestival 2007
= Menzione
Speciale d’Onore = Presidente di
Giuria, Furio Scarpelli
Motivazione
Benedict ,
copione scritto con precisione, racconta una visione della Vita che ha una sua
pregnanza, alla ricerca di Valori perduti, un road movie in
Sicilia, punteggiato con maestria da
figure, di tutte le età, colorite delineate con vera attenzione alla storia
raccontata, controcorrente, la Sicilia non è solo terra di mafia.
Foto originali di Pino Grasso
Recensione
del Prof. Salvatore Riolo – Università Catania.
A chi inizia a leggerla
l’opera di Carlo Cotti, intitolata Benedict,
appare subito un’opera polivalente, perché, come si precisa nello stesso
sottotitolo, essa è una sceneggiatura originale, ma è una sceneggiatura che si
legge piacevolmente come un bel racconto. La godibilità della lettura non
viene, come si potrebbe temere, minimamente intaccata dalle precise notazioni
tecniche di regia che concentrano e ripartiscono il contenuto del testo in 188
scene. Anzi a me sembra che tali precise e puntuali indicazioni, scandendo lo
svolgimento degli avvenimenti, aiutino il lettore a orientarsi meglio nel
testo, che, pertanto è di piacevole lettura come un buon testo letterario fine
a se stesso. Né, per converso, l’apparenza e la fruibilità del testo come
racconto ben costruito possono costituire una controindicazione alla sua traducibilità
in film, né possono pregiudicarla.
Uno dei pregi del libro
è la ricchezza dei temi trattati: si parla in esso di generazioni a confronto,
dei valori della vita, delle tradizioni, della memoria e dei ricordi, del
razzismo, della mafia e di tante altre cose che non voglio anticipare al
lettore per non togliergli il piacere della scoperta e dell’esplorazione
personale del testo. Nessuno di tali temi prevale sugli altri, ma tutti,
intrecciandosi fra loro, concorrono allo svolgimento armonico della diegesi.
Essendo i temi trattati così strettamente interrelati fra loro, non è facile
poter stabilire quale di essi sia quello preminente, quale quello più
importante.
Il libro è scritto in
italiano, ma in esso si fa spesso riferimento a un altro codice linguistico che
assume un ruolo importante, esso è il galloitalico. Con tale termine si
definisce il dialetto di San Fratello, che è il luogo principale in cui si
svolge la storia raccontata, un dialetto che è assai diverso da tutti i
dialetti siciliani, perché è un dialetto di origine settentrionale.
Nella storia si fa uso
del galloitalico attraverso un impiego intelligente di originari antroponimi
sanfratellani. Per sottolineare l’importanza di tale uso, si ricorda che per la
sua specifica funzione, che è quella di indicare una persona ben precisa,
identificandola e distinguendola dalle altre della stessa comunità, il nome
proprio ha un legame strettissimo con l’identità della persona cui si
riferisce.
Nell’opera di Cotti la
maggior parte dei personaggi ha un nome caratteristico sanfratellano, alcuni di
questi antroponimi sono riportati in lingua italiana altri nell’originaria
forma galloitalica. Fanno parte del primo gruppo di nomi: Cirino Filadelfio,
Marianna, Alfio, Serafina, Rosalia, Biagio, che sono nomi tipici ricorrenti
nell’antroponimia sanfratellana, anche se sono forme italianizzate delle
originali forme galloitaliche. Appartengono al secondo gruppo: Frareu Filadelfio, Mairasa Maria Rosa, Bittu
Benedetto, Arfien Alfio, Carmien Carmelo, Culina Nicola, Ngiulita
Angela, Ntunien Antonio, B.lesg Biagio, Zarafina Serafina, Mtrisina
Maria Teresa, che sono nomi doppiamente sanfratellani, perché, come quelli del
primo gruppo, sono tipi onomastici ricorrenti nell’antroponomastica di San
Fratello e, in più, non subiscono nessuna forma d’italianizzazione, ma
conservano intatta la loro originaria forma dialettale galloitalica.
Bittu e Culina sono
ipocoristici: Bittu è la forma
abbreviata di uso familiare che deriva dal nome galloitalico pieno B.n.rittu; Culina è diminutivo di Cala,
che, a sua volta, è diminutivo dalla forma piena galloitalica N.cala.
L’importanza
dell’onomastica presente nel libro non si limita a esprimere e sottolineare la
sanfratellanità dell’ambientazione principale del racconto, ma va oltre, incide
più in profondità nel tessuto narrativo e ci consente di poter dire che lo
svolgimento di tutta la storia raccontata nel libro si compendia ed è
rappresentata tutta nella storia di un solo nome, nel passaggio cioè di
Benedict a Bittu. Infatti, uno dei
protagonisti del libro, che è quello che gli dà il titolo, si chiama con il
nome inglese Ben, che corrisponde
all’italiano Benedetto, che a sua volta nel dialetto sanfratellano si dice Bittu. La parte del racconto ambientata
negli Stati Uniti, inizia proprio con la scena di Benedict che si reca al
capezzale del bisnonno morente, il quale, essendo sanfratellano, si rivolge al
pronipote chiamandolo galloitalicamente Bittu.
La cosa infastidisce Benedict che si ribella, replica e sottolinea a forza che
egli non si chiama Bittu ma Benedict.
E il bambino si opporrà, sempre con forza, diverse altre volte e in altre
situazioni e con altre persone, quando lo chiamano Bittu. Solo alla fine del racconto, nell’ultima pagina e
nell’ultima scena e nella quartultima battuta il ragazzino, abbracciando la
madre, le dice, chiedendoglielo con grande trasporto, “chiamami Bittu”. Tutta la storia, ricca e
interessante, raccontata nel libro di Cotti, scorre attraverso la dialettica
dei due nomi e delle due identità corrispondenti, che prima si contrappongono e
poi si compongono, identificando lo stesso personaggio protagonista in due
diversi momenti della sua vita.
L’onomastica che, come
abbiamo visto, si può considerare un filo conduttore attraverso cui si svolge
il racconto, non è trattata autonomamente, non è staccata dagli altri temi, né
prevarica su essi, ma si lega a essi e si lega e s’integra armonicamente.
Si lega, ad esempio, con
il discorso del confronto fra generazioni. Infatti, quella di Ben è l’ultima di
quattro generazioni, ed è separata dalla prima da ottanta anni di eventi; è
ovvio che, passando di generazione in generazione, si perdano i punti di
riferimento e le relazioni che regolavano la vita della generazione precedente.
Così procedendo, si giunge alla quarta generazione che ha perso ogni contatto
con il mondo delle generazioni che l’hanno preceduta.
Si lega con il tema
dell’emigrazione in cui si distingue la prima generazione emigrata, che rimane
legata alla madre patria anche perché, non parlando l’inglese, ha difficoltà a
integrarsi nella nuova collettività. La seconda generazione, invece, frequenta
le scuole americane, apprende l’inglese ma apprende anche dai genitori il
dialetto materno e/o l’italiano. Dalla terza generazione si rafforzano le
conoscenze linguistiche e culturali americane e s’incominciano a perdersi buona
parte di quelle italiane, si allenta, così, il legame con la patria di origine
dei propri nonni. Nella quarta generazione è raro trovare persone che
conservano ancora consistenti tratti linguistici e culturali dell’italianità.
Si lega con il tema
dell’identità. Il nome proprio è importante per definire l’identità di un
individuo adulto e lo è ancora di più per un bambino di sei anni, come
Benedict, che ha i problemi d’identità propri dei bambini della sua età, che
hanno appena capito il posto che essi occupano nei complessi rapporti di
parentela.
Si lega con il tema
delle proprie origini. Se Benedict rifiuta recisamente l’attribuzione del nome Bittu e ripete di chiamarsi Benedict, lo
fa non per una semplice precisazione e rettifica linguistica e neppure per una
forma di abiura, ma lo fa perché non conosce il contesto linguistico e
culturale da cui scaturisce tale nome.
Si lega anche con il
tema delle tradizioni e della memoria collettiva. Solo dopo che la brava e
informata Meirasa gli spiegherà che il Gesù bambino che tiene in braccio San
Benedetto gli è stato consegnato dalla Madonna in persona, solo allora Benedict
può riconciliarsi con quel santo negro che, suggestionato dal razzismo americano
per i negri, egli aveva creduto un ladro di bambini. Solo quando Benedict,
prende coscienza delle proprie origini, capisce che il nome Bittu non cancella, come aveva temuto,
la sua identità, condannandolo all’anomia, ma la rafforza, certificandola storicamente.
Allora e solo allora ha piacere e sarà orgoglioso di farsi chiamare Bittu.
Finito di divorarne il
contenuto e chiuso il libro, al lettore, appagato e rigenerato dalla lettura,
rimane solo un desiderio: rivedere quello che ha letto tradotto in un film, in
cui la storia scritta, trasportata dalla pagina allo schermo, sia resa più
coinvolgente dal susseguirsi delle immagini, che, combinandosi con le parole,
rendono un racconto più incisivo ed emozionante.
Salvatore Riolo.
(Docente, presso l’Università
di Catania, dei seguenti insegnamenti:
-Lingua, dialetto nella comunicazione nel Corso di Laurea in Scienze
della comunicazione.
-Linguistica storica dell’italiano nel Corso di Laurea magistrale in
Filologia classica.
-Glottologia e Linguistica nel Corso di Laurea in Logopedia).
Nessun commento:
Posta un commento