Memorie della schiavitù coloniale dal Mondo Atlantico alla Sicilia... sulle orme di San Benedetto il Moro.
A Settembre la presentazione del suo lavoro sul nostro Santo.
Da sette anni, lavoro
su un progetto fotografico a lungo termine che documenta le molteplici
discendenze e manifestazioni delle memorie
della schiavitù coloniale,
della resistenza a
essa e delle sue abolizioni.
Documento queste memorie perché irrigano il nostro presente di
saperi e di una conoscenza dell’Altro che ci é essenziale per comprendere la
modernità in cui viviamo, i rapporti di potere (di razza, classe e genere) su
cui si costruiscono,coscientemente o no,la nostra identità e la nostra vista
sociale. Questa ricerca mi ha condotto dalle rive dell’Africa occidentale, alle
periferie di Porto-Principe (Haiti), alle cime montagnose della Guadalupa, ai
quartieri dimenticati della New Orleans, sino alle rive del fiume Maroni e ai
faubourgs di Santiago di Cuba.
Con il progetto
fotografico Binidittu, volgo la mia
attenzione dalle rive dell’oceano Atlantico dove ho lavorato sino ad oggi, a
quelle del mare Mediterraneo, più precisamente alla Sicilia.
Per le popolazioni
che lo abitano, il Mediterraneo non é mai stato una frontiera.
Persone, merci,
lingue, rappresentazioni, immaginari hanno attraversato le sue rive ad ogni
epoca e in tutte le direzioni. Da sempre, il Mare Nostrum appartiene a chi lo percorre, lo abita e lo controlla.
E soprattutto appartiene a chi ci muore.
I migranti di oggi,
uomini e donne, in provenienza dall’Africa e dagli altri paesi del litorale,
varcano ogni giorno le sue acque alla ricerca di una nuova vita. Come del resto
la maggior parte dei rivieraschi, ignorano probabilmente che quelle acque
prodigiose o funeste furono la culla di un altro migrante, simbolo di libertà e
d’emancipazione.
Questo migrante si
chiamava Benedetto, o Binidittu come
lo ribattezzarono i Siciliani, nato a San Fratello in provincia di Messina da
schiavi africani agli inizi del 500. Visse e morì in Sicilia come frate eremita
(1524-1589). Alla sua morte, il culto del frate afro-siciliano aveva già
attraversato gli oceani, per diventare un’icona planetaria, il protettore per
antonomasia degli afro-discendenti in America latina. Canonizzato nel 1807
(lo stesso anno dell’abolizione della tratta inglese degli Africani) come San
Benedetto il Moro, divenne il primo Santo Nero della Chiesa cattolica.
Alla chimera selvaggia del “migrante”, del “profugo”,
“dell’Africano”, termini con cui oggi si circoscrive la vita di uomini e donne
che vivono al di là dei nostri fantasmi, i siciliani dell’epoca opposero l’humanitas di Benedetto, vedendo in lui
un eroe, un super uomo, un santo e decisero di eleggerlo protettore della città
di Palermo.
Dopo anni di oblio e indifferenza, sotto la spinta di nuovi
studi storici e postcoloniali, la vicenda eccezionale del Santo Schiavo sta
riemergendo in tutta la sua attualità e modernità. I Siciliani, italiani e
stranieri, se ne sono accorti e stanno riscoprendo questa icona mediterranea,
sino ad oggi esclusa dai ranghi della memoria ufficiale e dalle
rappresentazioni ricorrenti del Mediterraneo.
Questo progetto fotografico ha l’ambizione di contribuire
alla riscoperta di Benedetto.
Questa ricerca si propone di ripercorrere la vita
improbabile di San Benedetto il Moro, d’esplorare i luoghi storici della sua
agiografia, le motivazioni dei suoi devoti, il culto delle reliquie, le memorie
inscritte nelle pratiche religiose e secolari a lui dedicate in Sicilia e nel
mondo Mediterraneo. In particolare qual è il rapporto che i Siciliani d’oggi hanno
(o no) con Binidittu,quali contraddizioni o rivendicazioni soggiacciono al
culto del Santo Nero? Se e in che misura la comunità africana residente in
Sicilia si sta riappropriando della vicenda di Benedetto, quali sono i nuovi
significati a lui attribuiti, i nuovi discorsi elaborati attorno alla sua
figura?
Binidittu appare come una allegoria moderna dei nostri tempi: il luogo
d’incontro tra i Mare Nostrum e la mondialità, tra l’oblio e la memoria, tra il
ripiego nazionalista e l’humanitas
condivisa, tra le aspirazioni del popolo siciliano e le
aspirazioni alla libertà et alla dignità dei migranti africani alla deriva in
questo momento verso le coste europee.
Nicola Lo Calzo
Chi è Nicola Lo Calzo: biografia dell'artista
Nicola Lo Calzo, fotografo italiano nato a Torino nel 1979, vive e lavora a Parigi. Dopo gli studi in architettura e restauro, si orienta verso la fotografia. La sua ricerca fotografica approfondisce e supera i limiti convenzionali della fotografia documentaria e della fotografia artisti- ca. Al centro del suo lavoro sta la nozione d’identità e minoranza. Caratterizzate da una profonda empatia, le fotografie di Nicola Lo Calzo illustrano i modi attraverso i quali i gruppi minoritari (per classe, genere, orientazione sessuale o razza) interagiscono con il sistema dominante, i modi attraverso i quali sviluppano delle proprie strategie di sopravvivenza e di resistenza.
Da più di sette anni, Lo Calzo è impegnato in una ricer- ca fotografica a lungo termine sulle memorie della tratta degli Africani e della schiavitù coloniale nel XXI secolo. Questo progetto ambizioso, intitolato Cham, è articolato in numerosi capitoli tra Europa, Africa, Caraibi e Americhe. Questa ricerca lo ha condotto dalle rive dell’Africa occi- dentale, alle periferie di Porto-Principe (Haiti), alle cime montagnose della Guadalupa, ai quartieri dimenticati della New Orleans, sino alle rive del fiume Maroni e ai faubourgs di Santiago di Cuba.
Le sue fotografie sono state esposte a numerose occasio- ni, in musei, centri d’arte e festival, tra cui ricordiamo il Museo delle Confluenze a Lione, il Museo Nazionale Alinari della Fotografia a Firenze e il Tropenmuseum a Amsterdam. Il suo lavoro è presente in numerose collezio- ni private e pubbliche, come gli Archivi Alinari, la Pinaco- teca Civica di Monza, la Biblioteca Nazionale di Francia e il Tropenmuseum a Amsterdam. La casa editrice Kehrer ha pubblicato tre libri di Nicola Lo Calzo: Inside Niger (2012), Obia (2015) e Regla(2017).
Collaboratore della stampa internazionale (Le Monde, The New Yorker, The New York Times), Nicola Lo Calzo è rappresentato dall’agenzia artistica L’agence à paris (Pari- gi), l’agenzia fotografica LUZ (Milano) e la galleria Domi- nique Fiat (Parigi).
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