San Benedetto da San Fratello detto il Moro: La Vita


San Benedetto da San Fratello - Uomo senza frontiere venerato in tutto il mondo"Comitato

Sito web a cura del "Comitato festeggiamenti San Benedetto il Moro" San Fratello (ME).

domenica 2 dicembre 2012

Il moro sul cammino de Santiago

Viaggio nelle manifestazioni di culto dell'America latina.

DA QUINDICI ANNI Palermo ha riscoperto la figura storica di Benedetto Manasseri da San Fratello, figlio di schiavi subsahariani, nato libero nel 1524 e vissuto da eremita in vari luoghi montani della Sicilia fino al 1562, anno in cui scese controvoglia dal Pellegrino ed entrò per obbedienza nel convento dei frati minori di Santa Maria di Gesù. Benedetto ebbe fama di santo e taumaturgo, fu patrono degli umili e consigliere dei potenti. Non ricevette mai gli ordini monastici e morì da frate laico nella comunità di cui era stato guardiano e riformatore. Fu canonizzato nel 1807.
I palermitani lo venerarono in vita come asceta e uomo di Dio, capace di compiere grandi prodigi e guarigioni stupefacenti. Pochi anni dopo la morte, su impulso dell’ordine francescano e di alcuni devoti siciliani influenti presso la corte spagnola, divenne popolare anche nel mondo iberico e iberoamericano. Come “santo della terra” fu associato alla Madonna del Rosario, alla Madonna delle Nevi e alla regina santa Isabella di Coimbra, moglie del re don Dinis, terziaria francescana vissuta nel secolo XIV e canonizzata in San Pietro nel 1625 sotto il nuovo baldacchino del Bernini. Da Cadice a Siviglia a Lisbona, da Rio de Janeiro a Vitoria, nel nome di Benedetto si fondarono confraternite del Rosario finalizzate alla buona morte e al riscatto dalla schiavitù.
La regina santa medievale e il “santo schiavo” del Cinquecento costituiscono due simboli forti del nazionalismo lusitano negli anni in cui si prepara l’avvento della casa di Braganza e il ritorno del Portogallo al rango di regno indipendente e sovrano, divenuto realtà nel 1640. Le corone iberiche erano rimaste unite per sessant’anni, da quando nel 1580 Filippo II d’Asburgo aveva assorbito per successione la corona portoghese, coltivando per due anni il progetto di stabilire a Lisbona la sua capitale. La regina di Coimbra e il figlio degli schiavi di San Fratello incarnano i valori della religiosità francescana vissuta laicamente ai due estremi della scala sociale. 
Il paradiso Isabella se l’era guadagnato sfamando i poveri e consacrando la propria corona al Santissimo Sacramento. I terziari di Coimbra nel 1625 sperarono di associarle in subordine Benedetto il Moro, che ritenevano molto adatto a ricoprire quel ruolo. Ma la sua “via legale alla santità” si fece sempre più aspra per la severità nell’applicazione dei canoni conciliari tridentini e per l’accresciuto controllo papale sui santi patroni canonizzati dal basso. Agevole e piana per Benedetto fu invece la via terrena alla santità nelle terre d’oltremare: con notevole anticipo sulle procedure, se non gli altari gli si garantì almeno una mensola all’interno di una baracca o di una sagrestia, uno stendardo da portare in processione, uno spazio aperto dove suonare i tamburi in suo onore senza disturbare le funzioni. Le manifestazioni di questo culto sono ancora vivissime in Brasile, dove la presenza degli africani deportati era massiccia. Si tratta di pratiche sincretiche con aspetti spettacolari, come le danze o le sfilate militaresche, o di elaborazioni complesse dei primi apporti europei, come la corsa degli asini di Sergipe o l’albero di nave trainato da buoi e issato sul sagrato della chiesa di Serra da Natale a Pasqua con in cima lo stendardo di São Benedito. Nella seconda metà del Seicento, l'andare e venire di portoghesi dediti al commercio di spezie e di schiavi lungo le rotte atlantiche contribuì a creare un intreccio di tradizioni ibride, radicatesi sulle coste d’America e d’Europa, che in parte anche minima, come nel caso della Galizia, conservano accenti esotici, superstiziosi e "pagani".
Il culto popolare per il frate nero di San Fratello convive in Galizia con quello per l’abate bianco San Benedetto da Norcia e sopravvive in almeno quattro centri rurali ai margini degli itinerari che conducono al santuario di Compostela. La presenza del Moro non intacca né contraddice la fama di “Matamoros” del santo apostolo Santiago, sterminatore degli infedeli sui campi di battaglia. Tanto più ci interessano quei luoghi, in quanto sappiamo che la regina santa Isabella, rimasta vedova, si recò da Coimbra a Santiago e vi giunse nel luglio del 1325 in abito da pellegrina. Alcune statue del santo nero sono ancora al loro posto su quei percorsi di devozione, come a Torres Vedras e a Ponte de Lima. C’è un’immagine di San Benito de Palermo a Santiago, nell’ultima cappella della navata di sinistra della chiesa di San Francesco. Ce n’è un’altra meno pregevole nella chiesa di San Francesco a Pontevedra. Entrambe sono oggetto di culto canonico e l’origine siciliana del santo è di pubblico dominio. Nei luoghi di cui parleremo, invece, si celebrano feste e pellegrinaggi rurali. I fedeli giungono anche da lontano, attratti dalla fama del santo nero avvocato delle anime del purgatorio, guaritore dei mali della pelle e della mente. Il suo nome in lingua gallega, Bieito, equivale al Benito degli spagnoli e al Benedito o Bento dei portoghesi.

Una di queste feste si celebra il martedì dopo Pasqua intorno alla chiesa di Santa Cristina de Cobas nella provincia di Pontevedra, a pochi chilometri dal monastero cistercense di Armenteira che appartiene alla diocesi di Santiago de Compostela. Nel tempio si conserva una statua di San Benito della seconda metà del secolo XVII, collocata su una mezza colonna munita di capitello e addossata alla parete di destra, di fronte l’altare della Madonna del Carmine. La statua di legno è coperta da un mantello di stoffa, ha un crocifisso nella destra e regge un teschio sul palmo della sinistra, da cui pendono alcuni nastri usati per appendere ed esibire le banconote offerte dai devoti in visita. Sull’altare a fianco della colonna è poggiata una cassetta per la raccolta degli oboli per San Benito. Sull’altare di fronte ce n’è un’altra della stessa forma e dimensioni ma molto più antica e preziosa, coeva della statua, divisa in due scomparti e ornata di un piccolo rilievo policromo con a sinistra tre Anime purganti tra le fiamme e a destra una replica della statua del santo nero. I due scomparti servono a separare gli oboli per le Anime purganti da quelli per San Benito. A detta della gente del luogo, è tale il concorso di folla nel giorno della festa che il sagrato si riempie di gente fino a sera. Sulla facciata della canonica a fianco della chiesa un’iscrizione ricorda che Santa Cristina fu riedificata nel 1667 da Benito Antonio Fernández y Malvar, un personaggio di certo influente. Al centro di un vigneto vicino, tra la canonica e un hórreo — il magazzino-granaio su pilastri tipico della Galizia — sorge un'antica costruzione di circa sei metri per otto, orientata come la chiesa e coperta da un tetto a doppio spiovente, cui si accede da una porta che si apre sul lato lungo prospiciente l’hórreo.
Sull’architrave di pietra della porta, rimuovendo uno spesso manto di edera, abbiamo letto l’iscrizione latina SANCTVVM CONSERBATIONE, coeva dell’iscrizione in lingua spagnola sulla facciata della canonica, celebrativa della ristrutturazione del 1667. All’interno del locale, oggi adibito a stalla, sul lato lungo orientato alla chiesa e in corrispondenza della porta di ingresso sporgono tra i conci squadrati due pietre aggettanti con la probabile funzione originaria di mensole. Riteniamo che il culto per San Benito sia stato introdotto a Cobas dallo stesso Benito Antonio Fernández y Malvar, che dovette chiedere e ottenere il permesso di appoggiarlo alla chiesa ristrutturata di Santa Cristina; e che nella costruzione attigua alla chiesa, tra la canonica e l’hórreo, sia stata custodita e proposta alla venerazione popolare la statua di San Benito con il teschio, patrono delle Anime del purgatorio, forse insieme con la statua di “Santo” Antonio nero, un altro africano subsahariano, "negro come quelli della Guinea", vissuto in Sicilia da schiavo guardiano di mandrie e poi da eremita. Antonio morì a Noto nel 1549 quando ancora era consentito praticare il romitaggio nel nome di San Francesco. È probabile che a Cobas, dopo la notizia della beatificazione, almeno la statua di San Benito sia stata ammessa in chiesa ma non su un altare. In Portogallo e in Brasile, Antonio di Noto era spesso associato a Benedetto il Moro. Secondo la tradizione, Antonio apparve a Benedetto morente nel convento palermitano di Santa Maria di Gesù. Le vite di entrambi furono incluse nella cronaca francescana di padre Antonio Daza, pubblicata a Valladolid nel 1611. Antonio e Benedetto, con Elesbão e Ifigênia, fanno parte della “famiglia della Madonna del Rosario dei neri”, tuttora venerata in Brasile, e in Portogallo nella Igreja da Graça della Alfama a Lisbona e nella cattedrale di Braga. Nella cappella reale di Amoreiras a Lisbona, inglobata nell’acquedotto di Aguas Livres, ai tempi del re Giuseppe I e del suo primo ministro marchese di Pombal, le statue dei santi neri Antonio e Benedito erano oggetto di un culto speciale, come a Viana do Castelo fin dal 1634. Benito Antonio Fernández y Malvar, forse devoto di entrambi i “santi neri” di cui portava il nome, volle incrementare la rilevanza sacrale del territorio di Armenteira. Le ragioni della sua iniziativa non sono note ma potrebbero non discostarsi da quelle che nel 1756 indussero Francisco de Souza Pereira, un negriero portoghese, a dedicare un ex voto a Nossa Senhora do Castelo, venerata in una chiesa di Rio de Janeiro, allora sede di una confraternita del Rosario e di São Benedito e oggi cattedrale della città: i centosettanta schiavi che Francisco de Souza stava trasferendo via mare da Pernambuco a Rio avevano rinunciato ad ammutinarsi. L’ex voto del capitano oggi si conserva a Braga in Portogallo nel Museu dos Biscainhos ed è una delle prove materiali di questa devozione “di ritorno”.

UN ALTRO LUOGO della Galizia consacrato a San Benedetto il Moro è il centro rurale di Parada de Outeiro, nel territorio di Ginzo de Limia sulla via che dal Portogallo conduce a Santiago di Compostela passando per Ourense. La statua appartiene alla chiesa di Santa Maria, annessa a un antico cimitero. Il sabato, la domenica e il lunedì di Pasqua molta gente si reca a Parada per visitare il santo nero di Santa Maria, quasi prigioniero nella nicchia dorata di un altare. La forza e l’antichità della devozione sono testimoniate dal libretto con i dati biografici e la novena a San Benito de Palermo, pubblicato a Ourense nel 1959 dal parroco Ignacio Gil con molti commenti coloriti: “…Basta venire a Parada a fine settembre o subito dopo Pasqua. Un formicaio di gente invade i paesi intorno nel raggio di vari chilometri… Quasi mi azzarderei a dire che dopo l’Italia è la Spagna la nazione che più lo venera… Lo fecero conoscere come patrono degli schiavi africani. E se uno va a Murcia, scopre che a Caravaca San Benito è titolare di uno degli altari della chiesa principale… Qui invece i contadini lo chiamano ‘El Santiño de Parada’…” Il giorno della sua prima visita a Parada il nuovo parroco rimase contrariato perché la chiesa non era magnifica come gliel’avevano descritta. “…La mia indignazione giunse al colmo quando mi mostrarono un retablo di cera a sinistra dell’altare maggiore con gli ex-voto dei graziati da San Benito. Quella mostra di braccia, mani, gambe… dimostrava poco spirito liturgico e ancor minore rispetto per il Sacramento, poiché mi dissero che davanti a quella esposizione di ex-voto i pellegrini si fermavano, forse più che davanti al Santissimo o davanti allo stesso ‘santo in gabbia’ , come lo chiamavano alcuni alludendo ironicamente alla povera nicchia in cui lo si venerava...” Don Ignacio Gil promosse il rifacimento della chiesa parrocchiale di Parada, inaugurata e benedetta nel settembre del 1952 dall’arcivescovo di Santiago de Compostela, Fernando Quiroga Palacios.
Ma la romería, il pellegrinaggio più animato e spettacolare di Galizia tra quelli dedicati a San Benito, si celebra ogni anno il 3 maggio nella chiesa a croce greca di San Xulián de Carballo a sei chilometri da Friol, un piccolo centro della provincia e della diocesi di Lugo. Vi prendono parte migliaia di persone che recano offerte in denaro e in natura (uova, formaggi, parti del maiale, polli vivi, un tempo anche prosciutti). Mentre il parroco di Friol e altri sacerdoti celebrano una delle tre messe della giornata sull’altare maggiore, nel braccio di sinistra della chiesa alcuni laici ricevono i pellegrini che si mettono in coda ed entrano dal portico laterale per sfilare davanti a un allampanato San Benito, ai piedi dell’altare e pronto per essere condotto in processione con le altre statue. A coordinare l’accoglienza è il postino di Friol, José Ramón B.B., che con altri “officianti”, durante la funzione dei sacerdoti, compie una sorta di blando esorcismo offrendo da baciare e girando sul capo dei fedeli, dopo l’offerta in natura o in denaro, una delle due statuette del santo munite di manico e adibite a questo rito sommario. Una terza statuetta, custodita in una nicchia del pilastro di una fontana nei pressi della chiesa, è stata rubata qualche tempo fa. Sotto il portico, una lapide databile alla fine del Settecento menziona il nome del parroco fondatore della parrocchia, e ricorda che era “bachiller”. Alla fine dell’ultima messa il postino di Friol, come faceva suo padre, si arrampica sulla torretta per suonare le campane a distesa, mentre le statue compiono il giro completo della chiesa e del cimitero, con San Benito che sfila per ultimo. È una statua “de vestir” che consiste in due assi di legno incrociate e coperte da un saio di tela, con l’aggiunta della testa e delle mani, di cui una, la sinistra, stringe un cuore. Nell’immaginetta che riproduce la statua, la mano con il cuore è nascosta dalla manica del saio. Il dettaglio non sembra casuale: in altre statue di San Benito/Benedito abbiamo notato la sparizione o la sostituzione di un attributo: alla statua di Torres Vedras manca la mano destra; quella di Ponte de Lima è stata privata di recente dei nastri pendenti, simili a quelli della statua di Cobas e sostituiti da un crocifisso; manca una mano anche a una delle statuette di Carballo imposte sul capo dei fedeli; la statua “de vestir” di San Benito della Hermandad de Los Negritos di Siviglia è stata rimaneggiata quarant'anni fa con l'abolizione del saio di tela, l’innesto della testa e delle mani sul corpo di un Sant’Antonio e la contemporanea dismissione di un retablo associato alla statua con due tele dei santi Elesbão e Ifigênia.
Il quarto centro della Galizia con tracce evidenti di culto per San Benedetto il Moro è Ponte Areas. Nella chiesa di San Pedro attigua al cimitero di Angoares, dove un tempo sorgeva il convento dei francescani oggi riedificato su una collina che domina l’abitato, si conserva un San Benito molto venerato. Quando nel 1835 il governo di Mendizábal soppresse gli ordini religiosi, l’antico convento fu chiuso e la statua del santo trasferita a San Pedro de Angoares. Anche qui l’associazione con i defunti sottolinea il legame stabilito in Galizia tra San Benedetto e le Anime purganti. Questo legame è una forma di patronato che riprende la tradizione cronachistica: tra i prodigi palermitani di San Benedetto non mancano i casi di richiamo in vita di persone stroncate da un male incurabile o vittime di incidenti. La commedia di Rosambuco, dedicata da Lope de Vega al santo nero della città di Palermo, si chiude con il sacrificio di fra’ Benito, che in punto di morte cede le ultime forze al padrone Lesbio, perito nell’incendio della sua casa, e ne rianima il corpo. L’intercessione per le Anime purganti, tradizionalmente affidata a Sant’Antonio, è una forma traslata di riscatto dall’espiazione del fuoco e un auspicio di vita eterna. Il culto delle anime è tipico della Galizia: una delle più note chiese di Santiago de Compostela è intitolata alle Anime del Purgatorio.
La devozione gallega per San Benedetto il Moro che abbiamo descritto va ad arricchire il complesso panorama del culto per il santo di San Fratello. A introdurlo e a diffonderlo in Galizia, nella seconda metà del Seicento, non furono certo le autorità ecclesiastiche locali, che non avevano modo di conferirgli legittimità immediata in attesa dell’esito dei processi. L’unica eccezione è forse quella del vescovo di Oporto Fernando Correia de Lacerda, nativo di Coimbra, terziario francescano e storico di Santa Isabella, che intorno al 1680 introduce nella cattedrale di Oporto un’immagine di São Benedito, puntualmente rimossa nel 1715. In base agli indizi che abbiamo ora raccolto, riteniamo che le radici di questa tradizione dell’Europa atlantica possano risalire in massima parte a iniziative spontanee e circoscritte di reimportazione del
culto dal Nuovo Mondo. Quando nel 1807 fu emesso il decreto papale di canonizzazione, una delle più forti istanze sociali che avevano influito sui ritmi dei processi canonici era venuta meno a causa dell’abolizione della schiavitù. In terra di Spagna, nel 1835, un altro ostacolo alla devozione per il primo santo nero del cielo, le cui immagini sacre erano ancora senza altari, annidate nei conventi o affidate alle confraternite del Rosario, venne dalla desamortización di Mendizábal, con la chiusura delle comunità monastiche e l’alienazione o la dispersione dei beni degli ordini religiosi. Il culto popolare, per la sua peculiare natura policentrica e autonoma, sopravvisse alla crisi della devozione liturgica. Il fertile isolamento geografico e culturale della Galizia, terra di transizione di usi e costumi, cardine culturale e linguistico tra Spagna e Portogallo, ha contribuito a salvarla.


Alessandro Dell'Aira, Il moro sul Camino de Santiago



1 commento:

  1. personalmente ho ritrovato la statua di San Benito da Palermo nella chiesa di San Francesco a Santiago ed ho provato grande emozione e particolare devozione per questo santo che oggi sembra assurgere a ..icona visto come simbolo della povertà, umiltà semplicità!!

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