San Benedetto da San Fratello detto il Moro: La Vita


San Benedetto da San Fratello - Uomo senza frontiere venerato in tutto il mondo"Comitato

Sito web a cura del "Comitato festeggiamenti San Benedetto il Moro" San Fratello (ME).

lunedì 22 luglio 2019

Pensando a Benedict, la sceneggiatura originale di Carlo Cotti

Carlo Cotti: La mia Vita, è fatta di corsi, ricorsi, arrivi, partenze, come questo 2019. Un Amico, una altra coincidenza che mi è arrivata, e riparto in quarta “pensando a Benedict”, ne parlerò.
Come è nata l’idea.
I grandi incontri gli innamoramenti esistono e non soltanto verso persone ma anche verso terre, luoghi, situazioni.  E’ di questo che voglio parlare.
Mi sono innamorato della Sicilia al primo incontro nel lontano 1963 quando ero assistente di Alessandro Blasetti per un Liolà cinematografico---ed ancora come aiuto regista a Monreale con Zeffirelli per “Fratello Sole Sorella Luna” e al teatro Massimo di Palermo come aiuto regista di Mauro Bolognini, e poi come regista per il Paese dei Campanelli… e poi e poi.
La Sicilia è in me, anche come paese di vacanze… come a Vulcano, dove sono nate molte delle mie sceneggiature.
…Mi fa piacere, prima che ci si accinga a leggere Benedict, e poi spero presto vedere il film, ricordare come sono arrivato ad immaginare questo racconto che partendo da Ben – ragazzino italo-americano, arriva ai ragazzi,  agli adulti prendendo lo spunto dalla storia di San Benedetto il Moro(secolo 15mo), portandola ai nostri giorni come un road movie, partendo da San Fratello sui Monti Nebrodi.
Nell’anno giubilare 2000 stavo preparando come autore e regista nella Città del Vaticano in Aula Paolo VI, la serata dedicata alla Canonizzazione di madre Bakita, delle Suore della Carità Canossiana, prima Santa Nera, (1869-1948, dichiarata da Sua Santità Papa Giovanni Paolo II: “ Sorella Universale”, titolo che ho mantenuto nel mio spettacolo. Parlandone con un medico di Acquedolci - San Fratello, mi dice che in Sicilia oltre alla Madonna Nera di Tindari, esiste un Santo Nero, San Benedetto il Moro……
La curiosità innata, sana che mi porta a conoscere la Vita, mi porta in Sicilia a San Fratello nel Messinese, paese natale di Benedetto il Moro. Incontro padre Salvatore di Piazza, il dottor Alfredo Iraci, cultore della figura di San Benedetto il Moro. Arrivo a San Fratello, scoprendo, attraverso delle poesie, la lingua “gallo-italica”. Le prime pagine scritte per FRAREAU, primo nome date al copione, per registrarlo alla Siae.
Di nuovo la curiosità, mi porta a parlarne con un sanfratellano doc il professore Salvatore Riolo docente per la lingua gallo italica…
Il professore Riolo, facoltà Lettere e Scienze della Comunicazione, che ama il Cinema, mi propone di tenere in Università dei laboratori sul linguaggio cinematografico. Da questi master ho ricevuto, nuovi impulsi per il copione che stavo scrivendo,  e molti studenti ai quali parlavo del progetto mi hanno fatto conoscere altre belle realtà siciliane, diventando cosi un road movie in terra siciliana.
Il perché.
In un mondo di violenze, di soprusi, di perdita dei Valori, di rifiuti alla Vita, di razzismo, di guerre di religioni, di immagini di vita da non imitare, la mia sceneggiatura è controcorrente, è un racconto a lieto fine, senza messaggi da buonista ma di buon auspicio,un auspicio da imitare, come e quando le favole che finivano lietamente cominciavano con un C’era un volta.
C'era un tempo aggiungo io, che fra nonni e nipoti, fra genitori e figli passava un certo modo di raccontare tramandandosi valori, amore per la Vita, rispetto verso gli altri, fatti, idee, esperienze.
Guardare la vita, sempre, con lo sguardo nuovo, innocente, innocentemente cattivo di un bambino e… mai dimenticare di esserlo stato…
Ben un bambino che non accetta un uomo nero con un bimbo bianco, in braccio e in Sicilia. Scoprirà il Significato.
Personaggi , date, che si confondono.
Nel 2000 grazie a San Fratello ho scoperto San Benedetto il Moro.
Passano gli anni, mi dedico al racconto, cambio, ricambio , sento gli Amici di San Fratello, giovani e meno giovani.
A Catania , il prof Riolo è pieno di consigli, di pareri.
Il copione prende Vita , quando nel 2006, Vinco il “Premio Speciale d’Onore” al Baff Film Festival. Contento cerco un/il produttore, forse, ed avviene diverse volte nella mia carriera, che sono “ in anticipo su quello che accade”.
Ricambio ancora, San fratello, ormai è una mia meta preferita, respiro Pace. Amici sanfratellani che abitano nel Nord,  vicino a Milano e nasce, anche il libro “Benedict” con la sceneggiatura premiata. Nel 2012, fra alti e bassi della mia Vita, per presentare Benedict, torno in Sicilia, fra Catania , Palermo e San Fratello per un master-class sul Cinema.
Passano gli anni, e il pensiero corre ad ogni anno al 4 aprile, e a settembre, a San Benedetto il Moro, a Benedict, la mia Vita, è fatta di corsi, ricorsi, arrivi, partenze, come questo 2019. Un Amico, una altra coincidenza che mi è arrivata, e riparto in quarta “pensando a Benedict”, ne parlerò.

BEN , sceneggiatura originale di Carlo Cotti
premiata al  BaffilmFestival 2007
= Menzione  Speciale  d’Onore = Presidente di Giuria, Furio Scarpelli
Motivazione
Benedict , copione scritto con precisione, racconta una visione della Vita che ha una sua pregnanza, alla ricerca di Valori perduti, un road movie in Sicilia,  punteggiato con maestria da figure, di tutte le età, colorite delineate con vera attenzione alla storia raccontata, controcorrente, la Sicilia non è solo terra di mafia.

Foto originali di Pino Grasso

Recensione del Prof. Salvatore Riolo – Università Catania.


A chi inizia a leggerla l’opera di Carlo Cotti, intitolata Benedict, appare subito un’opera polivalente, perché, come si precisa nello stesso sottotitolo, essa è una sceneggiatura originale, ma è una sceneggiatura che si legge piacevolmente come un bel racconto. La godibilità della lettura non viene, come si potrebbe temere, minimamente intaccata dalle precise notazioni tecniche di regia che concentrano e ripartiscono il contenuto del testo in 188 scene. Anzi a me sembra che tali precise e puntuali indicazioni, scandendo lo svolgimento degli avvenimenti, aiutino il lettore a orientarsi meglio nel testo, che, pertanto è di piacevole lettura come un buon testo letterario fine a se stesso. Né, per converso, l’apparenza e la fruibilità del testo come racconto ben costruito possono costituire una controindicazione alla sua traducibilità in film, né possono pregiudicarla.  
Uno dei pregi del libro è la ricchezza dei temi trattati: si parla in esso di generazioni a confronto, dei valori della vita, delle tradizioni, della memoria e dei ricordi, del razzismo, della mafia e di tante altre cose che non voglio anticipare al lettore per non togliergli il piacere della scoperta e dell’esplorazione personale del testo. Nessuno di tali temi prevale sugli altri, ma tutti, intrecciandosi fra loro, concorrono allo svolgimento armonico della diegesi. Essendo i temi trattati così strettamente interrelati fra loro, non è facile poter stabilire quale di essi sia quello preminente, quale quello più importante.
Il libro è scritto in italiano, ma in esso si fa spesso riferimento a un altro codice linguistico che assume un ruolo importante, esso è il galloitalico. Con tale termine si definisce il dialetto di San Fratello, che è il luogo principale in cui si svolge la storia raccontata, un dialetto che è assai diverso da tutti i dialetti siciliani, perché è un dialetto di origine settentrionale.
Nella storia si fa uso del galloitalico attraverso un impiego intelligente di originari antroponimi sanfratellani. Per sottolineare l’importanza di tale uso, si ricorda che per la sua specifica funzione, che è quella di indicare una persona ben precisa, identificandola e distinguendola dalle altre della stessa comunità, il nome proprio ha un legame strettissimo con l’identità della persona cui si riferisce.
Nell’opera di Cotti la maggior parte dei personaggi ha un nome caratteristico sanfratellano, alcuni di questi antroponimi sono riportati in lingua italiana altri nell’originaria forma galloitalica. Fanno parte del primo gruppo di nomi: Cirino Filadelfio, Marianna, Alfio, Serafina, Rosalia, Biagio, che sono nomi tipici ricorrenti nell’antroponimia sanfratellana, anche se sono forme italianizzate delle originali forme galloitaliche. Appartengono al secondo gruppo: Frareu Filadelfio, Mairasa Maria Rosa, Bittu Benedetto, Arfien Alfio, Carmien Carmelo, Culina Nicola, Ngiulita Angela, Ntunien Antonio, B.lesg Biagio, Zarafina Serafina, Mtrisina Maria Teresa, che sono nomi doppiamente sanfratellani, perché, come quelli del primo gruppo, sono tipi onomastici ricorrenti nell’antroponomastica di San Fratello e, in più, non subiscono nessuna forma d’italianizzazione, ma conservano intatta la loro originaria forma dialettale galloitalica.            
Bittu e Culina sono ipocoristici: Bittu è la forma abbreviata di uso familiare che deriva dal nome galloitalico pieno B.n.rittu; Culina è diminutivo di Cala, che, a sua volta, è diminutivo dalla forma piena galloitalica N.cala.
L’importanza dell’onomastica presente nel libro non si limita a esprimere e sottolineare la sanfratellanità dell’ambientazione principale del racconto, ma va oltre, incide più in profondità nel tessuto narrativo e ci consente di poter dire che lo svolgimento di tutta la storia raccontata nel libro si compendia ed è rappresentata tutta nella storia di un solo nome, nel passaggio cioè di Benedict a Bittu. Infatti, uno dei protagonisti del libro, che è quello che gli dà il titolo, si chiama con il nome inglese Ben, che corrisponde all’italiano Benedetto, che a sua volta nel dialetto sanfratellano si dice Bittu. La parte del racconto ambientata negli Stati Uniti, inizia proprio con la scena di Benedict che si reca al capezzale del bisnonno morente, il quale, essendo sanfratellano, si rivolge al pronipote chiamandolo galloitalicamente Bittu. La cosa infastidisce Benedict che si ribella, replica e sottolinea a forza che egli non si chiama Bittu ma Benedict. E il bambino si opporrà, sempre con forza, diverse altre volte e in altre situazioni e con altre persone, quando lo chiamano Bittu. Solo alla fine del racconto, nell’ultima pagina e nell’ultima scena e nella quartultima battuta il ragazzino, abbracciando la madre, le dice, chiedendoglielo con grande trasporto, “chiamami Bittu”. Tutta la storia, ricca e interessante, raccontata nel libro di Cotti, scorre attraverso la dialettica dei due nomi e delle due identità corrispondenti, che prima si contrappongono e poi si compongono, identificando lo stesso personaggio protagonista in due diversi momenti della sua vita.
L’onomastica che, come abbiamo visto, si può considerare un filo conduttore attraverso cui si svolge il racconto, non è trattata autonomamente, non è staccata dagli altri temi, né prevarica su essi, ma si lega a essi e si lega e s’integra armonicamente.
Si lega, ad esempio, con il discorso del confronto fra generazioni. Infatti, quella di Ben è l’ultima di quattro generazioni, ed è separata dalla prima da ottanta anni di eventi; è ovvio che, passando di generazione in generazione, si perdano i punti di riferimento e le relazioni che regolavano la vita della generazione precedente. Così procedendo, si giunge alla quarta generazione che ha perso ogni contatto con il mondo delle generazioni che l’hanno preceduta.
Si lega con il tema dell’emigrazione in cui si distingue la prima generazione emigrata, che rimane legata alla madre patria anche perché, non parlando l’inglese, ha difficoltà a integrarsi nella nuova collettività. La seconda generazione, invece, frequenta le scuole americane, apprende l’inglese ma apprende anche dai genitori il dialetto materno e/o l’italiano. Dalla terza generazione si rafforzano le conoscenze linguistiche e culturali americane e s’incominciano a perdersi buona parte di quelle italiane, si allenta, così, il legame con la patria di origine dei propri nonni. Nella quarta generazione è raro trovare persone che conservano ancora consistenti tratti linguistici e culturali dell’italianità.
Si lega con il tema dell’identità. Il nome proprio è importante per definire l’identità di un individuo adulto e lo è ancora di più per un bambino di sei anni, come Benedict, che ha i problemi d’identità propri dei bambini della sua età, che hanno appena capito il posto che essi occupano nei complessi rapporti di parentela.
Si lega con il tema delle proprie origini. Se Benedict rifiuta recisamente l’attribuzione del nome Bittu e ripete di chiamarsi Benedict, lo fa non per una semplice precisazione e rettifica linguistica e neppure per una forma di abiura, ma lo fa perché non conosce il contesto linguistico e culturale da cui scaturisce tale nome.
Si lega anche con il tema delle tradizioni e della memoria collettiva. Solo dopo che la brava e informata Meirasa gli spiegherà che il Gesù bambino che tiene in braccio San Benedetto gli è stato consegnato dalla Madonna in persona, solo allora Benedict può riconciliarsi con quel santo negro che, suggestionato dal razzismo americano per i negri, egli aveva creduto un ladro di bambini. Solo quando Benedict, prende coscienza delle proprie origini, capisce che il nome Bittu non cancella, come aveva temuto, la sua identità, condannandolo all’anomia, ma la rafforza, certificandola storicamente. Allora e solo allora ha piacere e sarà orgoglioso di farsi chiamare Bittu.
Finito di divorarne il contenuto e chiuso il libro, al lettore, appagato e rigenerato dalla lettura, rimane solo un desiderio: rivedere quello che ha letto tradotto in un film, in cui la storia scritta, trasportata dalla pagina allo schermo, sia resa più coinvolgente dal susseguirsi delle immagini, che, combinandosi con le parole, rendono un racconto più incisivo ed emozionante.  

Salvatore Riolo.

(Docente, presso l’Università di Catania, dei seguenti insegnamenti:
-Lingua, dialetto nella comunicazione nel Corso di Laurea in Scienze della comunicazione.
-Linguistica storica dell’italiano nel Corso di Laurea magistrale in Filologia classica.
-Glottologia e Linguistica nel Corso di Laurea in Logopedia). 

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